Addominali e mal di schiena: quali scegliere.
Uno dei motivi più comuni per cui le persone richiedono la fisioterapia è il mal di schiena (o lombalgia). Il mal di schiena è uno dei disturbi più comuni nel mondo moderno e può avere diverse cause. Il mal di schiena non è quasi mai causato da un singolo problema. Fatta eccezione per eventi traumatici dove ad esempio si crea una frattura di una vertebra o si compie uno sforzo o una movimento in modo sbagliato, in mal di schiena è molto spesso un disturbo multi fattoriale.
Può essere causato da alterazioni della postura e del movimento, da un ernia del disco che comprime un nervo o più semplicemente da una contrattura muscolare. Vista in questi termini il mal di schiena sembra una patologia relativamente semplice da gestire, purtroppo però le cose si complicano se scendiamo più in profondità nell’aspetto clinico. Infatti se abbiamo una risonanza magnetica che presenta un ernia del disco L5-S1 come succede in molti casi non possiamo attribuire con certezza il dolore a questa alterazione anatomica. Molto spesso ci sono ernie asintomatiche ed il dolore invece è causato da aspetti muscolari o mio-fasciali, che a loro volta possono essere causato da alterazioni del movimento o addirittura da alterazioni ereditarie a carico della colonna. Insomma, dobbiamo capire con l’aiuto di un fisioterapista specializzato, quale è la vera causa del nostro mal di schiena.
In alcuni casi il mal di schiena può essere causato da problemi viscerali altre volte può essere accentuato da un periodo di intenso stress e diventare cronico. In questi articoli cerchiamo di spiegare in modo semplice, ma senza mai banalizzare, concetti sui quali anche il pareri dei clinici e della comunità scientifica sono in continua evoluzione. Quello che ad oggi possiamo affermare con sicurezza è che il movimento come prevenzione e l’esercizio terapeutico come cura sono alla base di percorsi terapeutici più articolati di cui possono far parte tecniche di osteopatia, terapia manuale o terapia mio-fasciale, massoterapia o terapie fisiche come le più note Tecarterapia o la laserterapia.
Il mal di schiena può manifestarsi come un dolore muscolare sordo nella parte bassa della schiena o un dolore intenso e acuto che influisce sulla capacità di piegarsi o di stare in piedi. Il dolore alla schiena può derivare anche da muscoli e legamenti che circondano la colonna vertebrale, ma può anche derivare da problemi strutturali alle ossa della colonna stessa. Esistono diverse opzioni per il trattamento del mal di schiena, ma, in primo luogo, la comprensione delle cause e dei sintomi è la chiave per prevenirlo.
Il trattamento della lombalgia di solito si concentra sugli obiettivi comuni di diminuire il dolore, aumentare la gamma di movimento e migliorare la funzione. In generale, le buone abitudini per prevenire il mal di schiena sono:
Fare stretching regolarmente. Molti di noi trascorrono la maggior parte della giornata seduti alla scrivania o sul divano. Fare stretching per alcuni minuti al giorno può essere molto utile.
Perdere peso se necessario. Essere in sovrappeso mette a dura prova la schiena.
Dormire a sufficienza. Esattamente come la mente, anche la colonna vertebrale ha bisogno di riposo, sostiene il peso della schiena. Bisogna fare quindi del sonno una priorità.
Adottare le tecniche appropriate quando si solleva qualcosa. Usare la forza delle gambe invece di quella della schiena per sollevare qualcosa da terra.
Molto spesso si associa la lombalgia a una debolezza dei muscoli addominali e per questo si propongono esercizi preconfezionati, il cui scopo è quello di allenare in modo diretto esclusivamente quel distretto corporeo, sperando che il suo rinforzo possa portare alla scomparsa dei sintomi da lombalgia. Le cose non stanno proprio così. Anche se problematiche di comune mal di schiena possono essere dovute, effettivamente, a debolezza e atrofia di vari muscoli del “core”, ciò non significa che rinforzarli sia un’automatica soluzione del problema. Prima di addentrarci nel discorso vediamo nel dettaglio l’anatomia e le funzioni degli addominali e capiamo il concetto di core stability. I muscoli che controllano direttamente o indirettamente la colonna devono funzionare come un’orchestra. Deve esserci un coordinamento preciso durante i vari movimenti e se questo viene meno la colonna può avere delle sollecitazioni sbagliate che possono determinare la comparsa dei sintomi. Ma gli addominali sono solo uno degli strumenti della nostra orchestra.
Addominali come sono fatti e a cosa servono.
L’addome è un ampio segmento del tronco che si trova tra il torace e il bacino. All’interno dell’addome alloggiano gli organi che assicurano le funzioni della nutrizione. La regione addominale è sostenuta dalla parete addominale anteriore e posteriore che sostiene le viscere e mantiene la postura, laddove non c’è supporto osseo, legamentoso e muscolare. I muscoli della parete addominale antero-laterale e i muscoli della parete addominale posteriore, comunemente chiamati muscoli della cintura addominale, circondano la cavità addominale.
FUNZIONI DEGLI ADDOMINALI
Le funzioni dei muscoli delle pareti addominali sono: Fornire un supporto muscolare tonico ed elastico per i visceri. Abbassare la gabbia toracica durante l’espirazione. Proteggere i visceri da eventuali colpi, formando una rigida parete protettiva. Prendere parte agli sforzi espulsivi di minzione, defecazione, parto, vomito, canto e tosse. Prendere parte all’inizio del movimento di piegamento del tronco in avanti. Prevenire l’iperestensione della schiena. Sollevare il bacino e gli arti inferiori. Piegare lateralmente la colonna vertebrale e assisterla nella sua rotazione.
ANATOMIA DEGLI ADDOMINALI
I muscoli della parete addominale antero-laterale si estendono al di sotto del torace, nella parte davanti e laterale dell’addome; a questo raggruppamento appartengono i muscoli più rappresentativi della muscolatura dell’addome.
Si dividono in:
Il muscolo retto dell’addome.
Il muscolo obliquo esterno.
Il muscolo obliquo interno.
Il muscolo trasverso dell’addome.
Il muscolo retto dell’addome è un muscolo lungo situato sul lato anteriore della parete addominale. Questo si estende verticalmente su entrambi i lati della linea bianca, una fascia di tessuto connettivo che divide verticalmente le due metà del muscolo. Nelle persone con una bassa percentuale di grasso corporeo, è chiaramente visibile sotto la pelle e forma il famoso “six pack”. Si estende dalla gabbia toracica all’osso pubico. Il retto dell’addome flette il tronco in avanti e gioca un ruolo nell’espirazione forzata, nella defecazione, nella minzione e nel parto. Questo muscolo oltre a stabilizzare e controllare l’inclinazione del bacino, svolge anche un ruolo nella protezione degli organi interni.
Gli obliqui esterni dell’addome sono muscoli situati ai lati della parete addominale. Insieme agli obliqui interni dell’addome e al trasverso dell’addome, formano i muscoli addominali laterali. Il muscolo obliquo esterno dell’addome svolge una varietà di funzioni a seconda che sia contratto unilateralmente o bilateralmente. Quando si contrae unilateralmente ruota il tronco verso il lato opposto e contribuisce alla flessione laterale del tronco. Quando si contrae bilateralmente flette il tronco in avanti. Quest’azione aumenta anche il tono della parete addominale e consente una pressione intra-addominale più forte, contribuendo così a vari processi fisiologici come l’espirazione forzata, la minzione, la defecazione.
L’obliquo interno dell’addome è un muscolo grande e sottile situato sulle pareti laterali dell’addome. Come suggerisce il nome, la direzione delle sue fibre è orientata obliquamente, perpendicolarmente a quelle dell’obliquo esterno dell’addome. Insieme agli altri muscoli della cintura addominale, l’obliquo interno è importante per il movimento del torace, per mantenere la tensione addominale e aumentare la pressione intra-addominale. Insieme agli altri muscoli della fascia addominale, l’obliquo interno svolge un ruolo importante nel mantenere la tensione nella parete addominale. Pertanto, la costruzione muscolare in questi muscoli ha un ruolo sia di protezione, che di supporto. Inoltre, una mancanza di tono nei muscoli obliqui interni dell’addome o di altri muscoli addominali aumenta il rischio di un’ernia addominale.
Il muscolo addominale trasverso (trasverso dell’addome) è il muscolo più profondo della fascia addominale. Il muscolo trasversale dell’addome può essere semplicemente descritto come il corsetto naturale del nostro corpo, che circonda le viscere, inserendosi nella colonna vertebrale e nelle costole. In altre parole, è il muscolo che lavora per avere una pancia piatta! Il muscolo trasversale dell’addome lavora in co-contrazione con il diaframma per espirare. Agisce anche in co-contrazione con i muscoli del pavimento pelvico, ed è quindi un target essenziale per qualsiasi riabilitazione post-partum. Inoltre, è anche un attore importante nelle principali funzioni biologiche: defecazione, vomito, parto o processi di respirazione.
Core Stability
Il termine inglese Core (centro, base), sta a indicare quella regione del corpo formata dai muscoli addominali, spinali, del pavimento pelvico e dell’anca, che lavorano insieme per fornire stabilità in posizioni stazionarie e in movimento. Per migliorare la forza e l’efficienza di questi muscoli sono stati quindi progettati degli esercizi di stabilità (da qui core stability). Questi muscoli, infatti, devono lavorare tutti insieme per fornire una base stabile sulla quale braccia e gambe possano muoversi in modo coordinato.
Proviamo a pensare alle nostre braccia e alle nostre gambe come a delle catapulte e di volerle usare per sparare a un bersaglio. Se la catapulta si trova su una solida base di cemento (il nostro core), si può mirare con precisione e si muoverà in maniera prevedibile, così da colpire il bersaglio ogni volta. Se, tuttavia, la catapulta si trova su un blocco di gelatina (scarsa stabilità del core), è impossibile mirare con precisione. La catapulta si muoverà in un modo leggermente diverso ogni volta che verrà sparata.
Allenare gli addominali è la soluzione al mal di schiena?
Per rispondere a questa domanda c’è una doverosa informazione da dare, la stabilizzazione della nostra colonna vertebrale avviene grazie a a tre diversi sistemi:
Uno è il sistema passivo, che include tessuti non contrattili come ossa e legamenti.
Il secondo è il sistema attivo, che comprende tessuti contrattili come muscoli e tendini, necessari per stabilizzare la colonna vertebrale e produrre movimento.
Il terzo è il sistema di controllo del motore.
Questo può essere pensato come la nostra capacità di accendere e spegnere i muscoli richiesti nella misura corretta e al momento appropriato. Quindi l’allenamento terapeutico del core implica un impegno dei gruppi muscolari coinvolti ma anche del sistema nervoso. Il nostro sistema nervoso è la centralina di controllo di tutte le attività del nostro corpo e un’ alterazioni di questo complesso sistema di attivazione e verifica del movimento può creare le condizioni per il sovraccarico di alcune strutture e fino al presentarsi dei sintomi.
Quando uno dei tre sistemi precedenti viene a mancare, si parla d’instabilità della colonna vertebrale. Questo potrebbe includere fattori quali: una lesione al tessuto stesso, una resistenza muscolare insufficiente, uno squilibrio muscolare o uno scarso controllo motorio. In molte persone con lombalgia è, infatti, comune vedere atrofia dei muscoli di stabilizzazione della colonna vertebrale, scarsa resistenza muscolare, squilibrio muscolare o attivazione ritardata dei muscoli di stabilizzazione.
Quindi tornando agli addominali, quando si progetta un programma di esercizi per migliorare la condizione di mal di schiena è importante concentrarsi sul miglioramento del controllo motorio e della resistenza muscolare piuttosto che cercare di migliorare la forza muscolare a carichi più elevati.
Esercizi quali il crunch o il sit up o il sollevamento gambe, andranno ad allenare gli addominali, ma da soli non risolveranno il tuo problema di mal di schiena. Un percorso terapeutico completo prevede anche la terapia manuale ed altri esercizi specifici per il tuo caso.
La core Stability è la soluzione al mal di schiena?
Problematiche di comune lombalgia possono essere dovute a debolezza e atrofia di vari muscoli del “core”, però questo non si traduce in un’automatica soluzione del problema.
La colonna vertebrale è fatta per muoversi e piegarsi e l’idea della stabilità del core può impedirlo. La teoria della stabilità del core potrebbe promuovere comportamenti paurosi e indurre alcuni a diventare iperprotettivi nei confronti del mal di schiena. Detto questo non va dimenticato che l’esercizio fisico è uno strumento davvero importante per aiutare a gestire la lombalgia.
La fisioterapia si concentra principalmente sul riapprendimento motorio o sull’imparare ad attivare i muscoli corretti al momento opportuno e sul miglioramento della resistenza di questi muscoli. Affidati a un fisioterapista per individuare il programma personalizzato di esercizi per combattere il mal di schiena.
Integratori utili per il benessere psicofisico.
Non serve una lista dei pro e contro per capire se è bene assumere i migliori integratori per la stanchezza mentale. Che sia a causa delle poche ore di sono accumulate, dei cambi stagione o di un forte periodo di stress personale o lavorativo, è facile accusare momenti di difficoltà mentale.
Sensazioni di tristezza, stanchezza e spossatezza anche mentale, riconducibili sostanzialmente a un generale calo energetico sono i principali sintomi di questo momento che accomuna molti.
Ci sentiamo privi di forze, svogliati, disattenti e affaticati. Ciò può dipendere da varie situazioni: professioni faticose, fisicamente logoranti o mentalmente stressanti, periodi di convalescenza, insufficiente riposo notturno, stile di vita poco bilanciato, momenti di stress, o semplicemente dall’età che avanza. Con il passare del tempo, l’organismo infatti si può trovare in condizioni di squilibrio energetico e a gestire un rallentamento delle proprie capacità cognitive e di attenzione. Stanchezza mentale e affaticamento sono dunque condizioni abbastanza frequenti che non devono spaventare.
Quando il nostro organismo non riesce a produrre l’energia necessaria ad affrontare le giornate, il nostro organismo e la nostra mente si affaticano, con la comparsa di alcuni sintomi come la mancanza di concentrazione e attenzione, i vuoti di memoria, il mal di testa, la sonnolenza diurna e un diffuso nervosismo.
Con i giusti comportamenti e l’aiuto di qualche integratore, possiamo ritrovare la nostra energia e lucidità mentale.
Fondamentale, come prima cosa, è l’ alimentazione. Non rinunciamo a una dieta equilibrata, non saltiamo i pasti né abbuffiamoci.
Introduciamo regolarmente tutti i nutrienti di cui il nostro organismo necessita, grassi compresi. Se ci attende una giornata pesante di studio o lavoro, non dimentichiamo di fare una buona colazione, abbondante e ricca di carboidrati complessi, prima e importante fonte energetica spendibile durante la giornata.
Non sottovalutiamo l’attività fisica. Anche se gli impegni sono tanti e il lavoro ci tiene parecchie ore al computer, ritagliamoci – tutti i giorni – almeno una mezzora per muoverci. Non servono grandi sforzi o allenamenti massacranti, una passeggiata a passo spedito è più che sufficiente se fatta con regolarità. Quando siamo particolarmente stressati il rischio di burnout elevato, non dobbiamo arrivare a questi punti.
Infine, last but not least come si usa dire, non trascuriamo il sonno, sia in termini quantitativi che qualitativi. Non basta dormire, bisogna dormire bene e riposare per permettere al nostro organismo e alla nostra mente di ricaricarsi. In particolare, cerchiamo di stabilire una routine del sonno andando a dormire e alzandoci grossomodo sempre alla stessa ora.
Inizia con fare questi accorgimenti sul tuo stile di vita. Migliorata la quotidianità potrai prendere in considerazione l’ utilizzo di alcuni integratori che se presi a periodi possono darti una mano anche se non faranno mai la differenza.
In commercio ne esistono molti e potrai farti consigliare anche in una semplice farmacia in base alle tue esigenze ma ricorda quanto detto prima: senza uno stile di vita adeguato l’integratore non ti potrà aiutare in niente.
Marco Frassinelli.
Proteine e danni renali: la verità.
Per chi si allena in palestra le proteine svolgono un ruolo importante nell’alimentazione. La loro assunzione, per migliorarci a livello fisico, è maggiore in un soggetto attivo rispetto ad uno sedentario, quando soprattutto abbiamo come obiettivo quello di avere un’aumento della massa muscolare o la riduzione della massa grassa.
Nonostante ciò sono tante le volte che sentiamo dire che una dieta iperproteica possa provocare nel tempo danni ai nostri reni ma sarà vero?
In caso di patologie renali è consigliato ridurre l’apporto proteico ma finché si hanno reni in salute non ci sono prove ancora evidenti che un elevato apporto proteico possa danneggiarli.
In questo articolo vedremo quali sono le malattie che vengono spesso associate ad un elevato consumo di proteine e capiremo se effettivamente troppe proteine possano fare male
Coloro che praticano sport di forza e potenza consumano molte proteine, nonostante ciò non vi è stata nessuna dimostrazione che queste persone corrano un maggior rischio di patologie o problemi legati ai reni.
Spesso sono gli atleti stessi ad avere dubbi se assumere troppe proteine possa fare male, poiché sono loro stessi che a differenza di un soggetto sedentario devono assumerne di più.
Per avere un’idea un corretto apporto proteico negli atleti e in persone che praticano attività sportive diverse volte a settimana varia tra 1,5 e 2 g per peso corporeo.
Patologie legate all’eccessivo consumo di proteine
Calcoli renali
Le diete ad alto contenuto di proteine sono spesso state accusate come la causa della creazione di calcoli renali. I calcoli renali non si creano solo in base alla nostra alimentazione ma bensì a diversi fattori come anomalie metaboliche o genetiche della persona.
Non ci sono perciò prove che una dieta iperproteica possa essere la causa della creazione di calcoli renali.
Patologie cardiovascolari
Eventuali problemi cardiovascolari sono stati individuati in soggetti che consumano eccessiva carne rossa, soprattutto dovuto alla presenza di grassi saturi che contiene ma non al loro valore proteico, quindi da escludere anche in questo caso le proteine come la causa di malattie cardiovascolari.
Sono tante invece le ricerche che evidenziano come un aumento del consumo di proteine favorisca la perdita di peso e di quanto sia importante aumentare il loro introito per coloro che praticano attività sportive intense.
Decalcificazione delle ossa
Secondo alcuni studiosi un elevato consumo di proteine può portare ad una riduzione della calcificazione ossea. Questo perché le proteine animali contengono numerosi amminoacidi solforati, che tendono ad aumentare il rilascio di calcio dalle ossa.
Nonostante ciò questa teoria deve essere rivista in quanto diverse ricerche hanno dimostrato che la densità ossea di chi consuma proteine è simile a quella di chi consuma proteine moderatamente e che addirittura siano meno soggetti a fratture.
Problemi ai reni
Si ritiene che un eccesso di consumo di proteine può causare danni ai reni. Quello che è stato però dimostrato è che il consumo di proteine modifica solo la funzionalità renale. L’iperfiltrazione in soggetti che seguono diete iperproteiche è un processo adattativo del tutto naturale e non comporta rischi.
Sono stati fatti studi legati all’assunzione elevata di proteine e il risultato è stato che il consumo a lungo termine di maggiori quantità di proteine non ha assolutamente un impatto negativo sulla normale funzionalità dei reni.
Alcuni studi invece hanno dimostrato che le persone affette da patologie renali hanno difficoltà ad eliminare l’azoto e quindi di conseguenza devono ridurre il loro consumo di proteine.
Problemi al fegato
Anche in questo caso nessuno studio scientifico ha confermato eventuali danni epatici derivanti dal consumo di proteine. In soggetti che soffrono di patologie epatiche come cirrosi, epatiti ecc. vengono date diete specifiche oltre alla riduzione del consumo di proteine poiché il fegato non è in grado di metabolizzarle correttamente.
Quindi assumere troppe proteine non fa male?
Non esattamente. Bisogna innanzitutto capire cosa s’intende per “troppo” poiché la quantità totale di proteine da assumere nel nostro fabbisogno giornaliero è soggettiva e varia da persona a persona in base a determinati fattori come: età, peso, metabolismo basale, patologie, attività fisica, obiettivi ecc. Non esiste perciò un quantitativo preciso.
Consultare un medico può aiutare a farci capire quante proteine consumare in base a tutti questi fattori.
Marco Frassinelli
L’orario migliore per massimizzare i tuoi risultati.
Le prestazioni di uno sportivo dipendono da numerosi fattori. Alcuni di questi si riferiscono alla persona, come la condizione fisica, lo stato psicologico e la motivazione, ma non sono certo gli unici.
L’ambiente, il clima, i mezzi a disposizione ecc., possono fare sicuramente la differenza.
Vediamo insieme qual’ è l’ orario migliore per allenarsi ed entriamo più nello specifico.
Andamento ormonale nella giornata
L’ attività motoria è strettamente legata al funzionamento dell’intero organismo.
Sappiamo che qualsiasi meccanismo fisiologico è finemente regolato da ormoni e neurotrasmettitori che vengono liberati e soppressi in base a stimoli di varia natura.
Alcune secrezioni, per giunta, seguono il cosiddetto “orologio biologico”. Significa che aumentano o diminuiscono in maniera variabile a seconda dell’orario.
- Il GH è al massimo nel centro della nottata – o meglio, del sonno– e crolla alla mattina – o meglio, al risveglio;
- Il testosterone è al massimo al mattino presto – o meglio, poco prima della sveglia – e crolla alla sera – o meglio, verso il termine della giornata;
- Il TSH segue più o meno l’andamento del testosterone.
In base a questa teoria, sarebbe quindi possibile sfruttare o evitare i momenti di maggior concentrazione degli stessi, con ipotetico vantaggio in termini di performance.
Quello che molti non sanno tuttavia è che, al di là della predisposizione individuale, l’orologio biologico è dotato di un’elevatissima capacità adattativa. Se così non fosse, i lavoratori turnisti non sarebbero in grado nemmeno di sopravvivere – anche se è innegabile che i turni siano “cattivi compagni di letto” della prestazione atletica.
Come sempre è l’organismo ad adattarsi all’ambiente, non il contrario; cercare il momento di “picco” di testosterone o di “crollo” del cortisolo non ha quindi un gran senso pratico. Meglio invece cercare di intervenire sulle variabili realmente impattanti, delle quali parleremo meglio sotto.
Nota: detto questo, ricordiamo che ogni soggetto è a sé, così come personalissima è l’attitudine specifica.
Orario migliore per allenarsi
Dal punto di vista statistico, il momento migliore per allenarsi si colloca nella seconda metà della giornata.
Questo dato va però in conflitto con quanto esposto sopra. Il testosterone ad esempio, importantissimo durante l’allenamento di forza, sembrerebbe diminuire verso la fine della giornata. Nel complesso tuttavia, l’attività del sistema nervoso centrale sembra ancora molto buona e la condizione basale motoria al vertice delle sue potenzialità (temperatura, mobilità ecc.).
Ma sarà veramente “merito” dell’orario? Ovviamente no.
I dati riportati dalle indagini crono-biologiche sono estremamente fuorvianti, perché influenzati dalle abitudini, dalle necessità e dai bisogni, più che dal reale impatto degli ormoni a secrezione pulsatoria.
La prestazione non dipende dall’orario
La fissazione per l’orario dipende semplicemente dal fatto che, in determinati momenti, le prestazioni sono migliori che in altri.
Ciò detto, questa variabilità non si riconduce assolutamente ai flussi crono-biologici, ma piuttosto ad altre variabili “apparentemente correlate”.
Una di queste è l’attivazione nervosa centrale (lucidità), che limita fortemente le persone che impiegano molto tempo a “mettersi in moto”. Chi, per tale ragione, si allena meglio alla sera ma vorrebbe cambiare, non deve fare altro che:
- capire quanto tempo richiede il suo cervello per essere al 100%;
- anticipare progressivamente nelle settimane la sessione allenante.
Un altro fattore è il grado di affaticamento cumulativo ( stanchezza dovuta alle altre attività della giornata), che limita fortemente le persone che soffrono la “mancanza di energie” fisiche e mentali. Chi, per tale ragione, si allena meglio al mattino ma vorrebbe cambiare, dovrebbe semplicemente portare avanti la sveglia mattutina o inserire una pausa di sonno a metà giornata.
Non meno importati sono lo stato nutrizionale e la regolazione glicemica. Ci sono soggetti che trovano grande vantaggio nell’ allenarsi a stomaco vuoto, mentre altre devono obbligatoriamente mangiare prima della seduta. Questo dipende soprattutto dagli effetti sul cervello della glicemia, degli ormoni iper-glicemizzanti.
Perché allenarsi al mattino?
Sul piano dell’efficacia, per nessuna ragione.
Tuttavia, uno studio pubblicato nel 2019 sul Journal of Physiology ha evidenziato che allenarsi subito dopo la sveglia può “anticipare” l’orologio biologico, migliorando le prestazioni psico-fisiche nella prima metà della giornata ma riducendo l’autonomia generale.
Quindi, paradossalmente, chi fatica a “partire” al mattino, con un piccolo sforzo adattativo iniziale, potrà migliorare questa attitudine grazie all’esercizio fisico anticipato.
Alcuni vantaggi dell’allenamento mattutino
- In estate la temperatura è più bassa e consente di allenarsi meglio, con carico allenante maggiore e minor rischio di disidratazione ;
- La maggior parte delle palestre è praticamente vuota e per strada il traffico è minimo;
- Come anticipato, migliora le performance psico-fisiche nella prima metà della giornata;
- Il testosterone è più elevato.
Alcuni svantaggi dell’allenamento mattutino
- Le articolazioni e i muscoli sono ancora tesi e rigidi, e si rende necessario un maggior riscaldamento;
- Gli effetti di una nottata poco ristoratrice possono dilatare il tempo di “ripartenza del sistema nervoso centrale”;
- È necessaria una maggior attenzione nella gestione delle tempistiche di colazione e digestione;
- L’orario del sonno va anticipato.
Perché allenarsi alla sera?
Anche in questo caso, per nessun motivo ben preciso.
C’è da dire che, per le ragioni argomentate sopra, le attività intense – che richiedono un elevata capacità neuro-muscolare, o comunque una concentrazione e una resistenza psicologica considerevoli – vengono eseguite con maggior successo soprattutto nella fascia pomeridiana.
In questo momento la temperatura è superiore, così come la vascolarizzazione, e l’ apparato locomotore già “sgranchito”.
Alcuni vantaggi dell’allenamento serale
- Come anticipato, miglior condizione motoria e maggiore temperatura basale;
- Condizione nervosa ottimale;
- Più facile gestione dei pasti e dei tempi di digestione;
- Partecipa a smaltire lo stress lavorativo ;
- In estate, la temperatura è più bassa che al centro della giornata – ma più alta che al mattino.
Alcuni svantaggi dell’allenamento serale
- Il lavoro, soprattutto manuale, può compromettere le prestazioni globali;
- Può rendere difficile addormentarsi;
- In estate la temperatura è più elevata che al mattino presto;
- Il buio anticipato può essere un deterrente per chi si allena out-door;
- In genere, le palestre sono affollate e le strade trafficate.
E a pranzo?
Allenarsi in pausa pranzo è un buon modo per creare una finestra di svago a metà della giornata.
Consente di “risparmiare” tempo.
In estate, ovviamente, le temperature possono essere troppo elevate.
Il tempo può risultare insufficiente.
Può togliere tempo al pranzo e l’allenamento può rimanere compromesso dalla digestione
Conclusioni
In definitiva, non esiste un momento migliore degli altri per allenarsi. Dipende soprattutto dalle attitudini individuali, dai ritmi quotidiani e dalle necessità.
Ad ogni modo, “cambiare” porta sempre ad una crescita. La destabilizzazione delle costanti spinge l’organismo a migliorarsi e la mente ad aprirsi.
Molte persone non avrebbero mai detto di riuscire ad allenarsi alle 6:00, in pausa pranzo o alle 22:00, ma con grande sorpresa talvolta la modifica della routine non solo è stata possibile, ma anche vantaggiosa in termini di risultati.
Carboidrati alla sera e aumento di peso.
È opinione comune pensare che sia meglio mangiare i carboidrati durante il giorno e non la sera, principalmente per due motivi:
- Il primo riguarda il consumo calorico, in quanto immettere zuccheri quando ti appresti ad andare a dormire aumenta le probabilità che questi vengano trasformati in grassi.
- Il secondo, invece, è un discorso ormonale: la produzione ed il picco notturno dell’ormone della crescita (GH) vengono smorzati dall’introduzione di zuccheri – il GH è in antagonismo con i glucidi, in quanto spinge la cellula ad utilizzare il metabolismo lipidico.
Tutte e due queste convinzioni sono sbagliate:
- La prima perché non ci si accorge che il dispendio energetico nel sonno è pressappoco uguale a quello delle attività a basso impatto, come stare seduti su un banco o su una scrivania. Quindi, se svolgi un lavoro sedentario le variazioni dell’energia non sono così significative da giustificare la distribuzione giornaliera dei carboidrati. In più la notte prima del sonno c’è un’impennata degli ormoni tiroidei che aumentano il dispendio energetico.
- La seconda riguarda il picco di GH notturno: le variazioni ormonali nelle persone natural (che non fanno uso di anabolizzanti) non sono così significative nel cambiare radicalmente la composizione corporea. Per capirci, a parità di calorie, non è che se non hai il picco notturno non dimagrisci: le alterazioni ci sono ma non sono così determinati. In più se mangi carboidrati ad alto indice glicemico alle 20.00 hai un’ipoglicemia reattiva durante la notte, che andrà a potenziare gli effetti del GH. Infatti, questo ormone ha la funzione di preservare gli zuccheri nel sangue e più questi calano più l’ormone della crescita agisce.
Carboidrati la sera per dimagrire?
La perdita di peso non si basa su fattori singoli acuti, come il mangiare i carboidrati in un momento piuttosto che in un altro, ma sul riuscire a protrarre un regime ipocalorico nel tempo. Per questo è tanto difficile dimagrire: puoi stare a dieta 5 giorni a settimana, ma se poi nel weekend sgarri, è come se tornassi in normocalorica. Mangiare carboidrati quando ti aggrada (a colazione, pranzo e/o cena) è un’ottima strategia per migliorare l’aderenza alla dieta.
Inoltre, dopo le 18.00 il consumo glucidico è associato ad una maggior produzione di leptina il giorno dopo. La leptina è un ormone essenziale per tenere attivo il metabolismo ed è anche una sostanza che sopprime il senso della fame: ti fa sentire più sazio.
Meno vincoli hai e meno problemi ti fai, più riesci a rendere fattibile e sostenibile un regime ipocalorico e, quindi, più riesci a dimagrire. Mangiare carboidrati alla sera non fa né dimagrire né ingrassare. Semplicemente se ne hai voglia, nel contesto energetico giornaliero, rende il regime alimentare più semplice.
Per sapere quanti carboidrati al giorno per dimagrire, ti rimandiamo a questo articolo.
È vero che i carboidrati a cena aiutano a dormire e prendere sonno?
Mangiare i glucidi dopo le 18.00 favorisce il sonno e la produzione di serotonina, un ormone implicato nella qualità del sonno.
Perché questo avvenga devi fare un pasto glucidico con almeno 80-100g di amido, per stimolare correttamente l’insulina. Il fruttosio che trovi principalmente nella frutta non porta a migliorare la qualità del sonno, quindi a cena è meglio preferire cereali e/o legumi e non basta la sola frutta e verdura.
Inoltre, l’assunzione di carboidrati, se non eccessiva, è associata ad una diminuzione del cortisolo. Il cortisolo (più conosciuto come ormone dello stress) è un ormone controinsulinare, che stimola il metabolismo lipidico e proteico. Quando assumi carboidrati attivi il metabolismo glucidico e in questo modo si spegne la produzione dell’ormone prodotto dalle ghiandole surrenali. Questo è un altro motivo valido per mangiare i glucidi dopo le 18.00, infatti lo stress è un fattore che non favorisce il prendere sonno.
I carboidrati mangiati di sera fanno ingrassare?
Un piatto di pasta (sugo escluso) da 100 g ha circa 365kcal – valore che puoi controllare sulla tabella nutrizionale che trovi stampata direttamente sul pacco di pasta. Alle 13.00 questo piatto ha 200 kcal e man mano che le ore trascorrono le calorie salgono, fino a mezzanotte dove contano ben 600 kcal. È possibile? Per fortuna no: il contenuto calorico rimane sempre lo stesso a prescindere dall’ora del giorno. Anche a livello metabolico, nonostante la variazione dei livelli ormonali per via dei cicli circadiani, la risposta metabolica non modifica il contenuto calorico e quindi il dimagrimento.
Non ingrassi o dimagrisci a seconda del singolo pasto, ma per periodi di tempo più lunghi (24 ore o l’intera settimana). È la differenza tra le entrate e le uscite su tempi medio-lunghi che decreta realmente come varia il tuo peso, non se mangi i carboidrati alle 20 o alle 13.
Carboidrati la sera per il bodybuilding e la palestra
L’allenamento per gli sportivi è il più grande fattore che può influenzare il quando mangiare i carboidrati: se ti alleni di pomeriggio/sera, la cena diventa il momento migliore in cui consumare un’alta quota glucidica; più in generale, il consiglio è quello di inserire i glucidi nel post allenamento.
Questo perché la sensibilità all’insulina rimane elevata nelle due ore successive al training, in seguito non cala drasticamente ma inizia a scendere gradualmente. In pratica, se ti alleni al mattino meglio i carboidrati a pranzo, se nel pomeriggio/sera a cena, perché alta sensibilità insulinica (recettori GLUT4 già presenti sulla membrana) e basso glicogeno muscolare faranno sì che i carboidrati assunti migliorino il recupero, interrompendo la fase catabolica e favorendo quella anabolica, con un minor rischio di trasformare l’eccesso glucidico in trigliceridi (grassi)!
Avere le scorte glucidiche esaurite, molte ore dopo l’allenamento, inizialmente può far dimagrire (miglior attività lipolitica), tuttavia nel medio-lungo periodo può innescare processi che portano all’ insulino resistenza. Bassi zuccheri, alta beta ossidazione ed alta lipolisi shiftano il metabolismo verso i grassi con pregi ma anche difetti, tra cui una sempre peggiore affinità delle cellule con il glucosio.
Efficacia degli aminoacidi ramificati.
Gli aminoacidi ramificati (BCAA, da branched-chain amino acids) sono forse ancora oggi tra i supplementi più popolari nel fitness e nell’attività fisica in generale. Ma questo è probabilmente anche il caso più emblematico in cui esiste una larga discrepanza tra la popolarità di un supplemento e la sua inefficacia.
I BCAA sono tre amminoacidi essenziali: leucina, isoleucina, valina e da soli compongono il 40% degli aminoacidi di un muscolo. Hanno la caratteristica di bypassare il passaggio attraverso il fegato venendo metabolizzati direttamente dalle fibre muscolari.
A cosa servono gli aminoacidi ramificati?
L’uso dei BCAA è una delle strategie più utilizzate ai fini del miglioramento della composizione corporea nell’ambito del fitness e del culturismo. La popolarità di questa pratica potrebbe essere in parte dovuta ad interpretazioni distorte e sopravvalutazioni dei risultati ottenuti dal loro uso nelle ricerche scientifiche, supportati da chi ha interessi di vendita, in parte dovuta al fatto che più si sente nominare un’informazione o si nota la popolarità di una certo integratore, e più si crede sia vera e fondata, a prescindere dalla sua reale efficacia.
A riguardo dell’utilità dei BCAA raramente sentiamo esprimersi esperti di alto livello e di fama internazionale. Sembra quasi che i BCAA, a causa della loro popolarità, vengano accettati a priori come uno dei supplementi più efficaci, e fondamentali per garantire i guadagni muscolari o un supporto anticatabolico, come succede con le migliori proteine in polvere.
Sebbene queste nozioni possano essere valide in diverse circostanze, questo non sembra essere il caso in gran parte delle condizioni alimentari a cui sono sottoposti i culturisti o gli atleti di forza.
Benefici e vantaggi dei BCAA: funzionano veramente?
Ad oggi i BCAA non sono riconosciuti come un supplemento particolarmente utile o importante per l’attività sportiva , che questa sia finalizzata alla crescita muscolare, alla perdita di grasso o alla performance, alcuni importanti ricercatori li hanno addirittura giudicati controproducenti per l’anabolismo.
Ma è comprensibile che questa informazione tecnica tardi ad arrivare alle persone e a molti operatori, in buona parte perché influenzati dalle credenze popolari fortemente radicate dei tempi passati, in parte perché non tutti stanno al passo con i continui aggiornamenti della ricerca e le più recenti evoluzioni del settore. Questo senza considerare l’opposizione di chi, in una posizione di conflitto di interessi, comprensibilmente ignora questo cambio di direzioni per poter continuare a promuoverne la vendita.
Per come venivano riconosciuti in passato secondo le opinioni più comuni, i BCAA sembravano risultare tra i migliori e più efficaci supplementi per l’attività fisica. I benefici attribuiti andavano dalla crescita muscolare, al dimagrimento, al miglioramento di vari tipi di performance, al recupero fisico, al migliore focus mentale.
Ad oggi, quantomeno gran parte di questi benefici sono stati fortemente messi in discussione tra scienziati ed esperti, e se proprio bisognasse riconoscere un potenziale effetto positivo, questo risulta limitato a situazioni particolari che in genere non riguardano chi si allena in palestra, soprattutto con un piano alimentare mirato (vedi diete scarsamente proteiche, o pazienti ricoverati o anziani).
Effetto “energetico”
Una proprietà che viene spesso attribuita ai BCAA nel contesto sportivo è quella di agire come supplemento energetico, un ruolo che potrebbe essere enfatizzato per supportare un’ulteriore presunta funzione ergogenica aggiuntiva al ritardo della fatica centrale.
I BCAA risultano un substrato energetico come tutti i nutrienti calorici, e dato che vengono ossidati (impiegati come energia) preferenzialmente dal muscolo scheletrico bypassando la metabolizzazione da parte del fegato (18,19) (come accade invece per gli altri amminoacidi), questo dettaglio decontestualizzato potrebbe essere messo in risalto per poterne valorizzare il ruolo energetico per il muscolo sotto sforzo.
Rimane però discutibile che i BCAA siano più efficienti dei carboidrati per apportare energia sotto sforzo, dato che anche questi ultimi vengono prontamente e prioritariamente ossidati dal muscolo contribuendo ad apportare energia immediata , sopprimendo inoltre l’eventuale ossidazione dei BCAA muscolari. Inoltre, a parità di litri d’ossigeno consumato il glucosio produce 5.36 kcal, mentre i BCAA soltanto 3.33 kcal: sarebbero quindi una fonte di carburante molto meno efficiente.
Per concludere, l’esercizio fisico richiede energia, e se il cibo scarseggia il corpo sarà portato a ricavarla da substrati depositati nel corpo, tra cui in minima parte dai BCAA muscolari; mentre in caso contrario la ricaverà da ciò che viene introdotto dall’esterno, che essi siano carboidrati o BCAA isolati.
Recupero muscolare
Tra i vari proposti benefici, i BCAA favorirebbero il recupero accelerando il ripristino di vari parametri:
- l’indolenzimento muscolare (DOMS),
- il danno muscolare,
- la performance,
- la funzionalità muscolare temporaneamente deteriorate dagli allenamenti estenuanti o dai nuovi stimoli di allenamento (13,14,15).
Per quanto sia stato stabilito un effetto benefico per alcuni aspetti del recupero, anche in questo caso lo si osserva in condizioni in cui l’apporto proteico risulta subottimale per lo sportivo, o in cui i BCAA assunti a ridosso dell’allenamento vengono paragonati a un placebo (zucchero). Alcuni ricercatori infatti sottolineano che i BCAA potrebbero agire positivamente sul recupero se l’apporto proteico è al di sotto di 1.6 g/kg di proteine , cioè inferiore alle soglie minime ottimali per chi si allena con i pesi.
Effetto ergogenico
Uno dei più citati effetti dei BCAA è il ruolo ergogenico, cioè di miglioramento della performance sportiva. L’ipotesi originale verteva sul ritardo della fatica a carico del sistema nervoso centrale: per farla breve, impedendo l’accesso del triptofano al cervello per sintetizzare serotonina, un neurotrasmettitore implicato nell’affaticamento, i BCAA avrebbero limitato o ritardato la fatica a livello centrale.
Ma da molti anni l’ipotesi dei BCAA per la fatica centrale è stata messa in discussione data anche l’assenza di reali prove sperimentali, sollevando dei dubbi sulla sua validità. Inoltre, la fatica centrale risulta molto più influenzata dalla durata che non dall’intensità dell’esercizio, e non a caso questi effetti dei BCAA vengono trattati nel contesto dell’endurance prolungata più che dell’allenamento con i pesi.
Questo da una parte potrebbe validare l’utilizzo dei BCAA come potenziale ergogenico per l’endurance prolungata, dall’altra pone ulteriori dubbi sull’utilità negli sport con i pesi, per caratteristica intensi e di durata breve o moderata. Ma anche i carboidrati assunti nel pre-allenamento aerobico, attorno a 1.5 g/kg, sono capaci di ritardare la fatica centrale rispetto a un pasto meno glucidico (0.8 g/kg) con le stesse proteine. Quindi rimane discutibile che i BCAA abbiano un effetto unico in tal senso che non può essere ottenuto con il cibo o con i carboidrati.
Aminoacidi ramificati BCAA per la massa muscolare (bodybuilding)
Molti autori citano l’autocondizionamento psicologico e l’effetto placebo quando un atleta giustifica l’utilizzo di BCAA per la presunta efficacia riscontrata, e questo aspetto è naturalmente ben documentato in letteratura, nonché uno dei principali punti di forza su cui possono fare affidamento le aziende di integratori. Che sia placebo o che funzioni realmente poco importa, in quanto è sufficiente che il compratore sia solo “psicologicamente soddisfatto”.
Sta di fatto che ad oggi sembra che nessuna ricerca abbia dimostrato chiaramente che l’uso di BCAA nelle classiche condizioni “culturistiche” (dieta adeguatamente calorica e proteica) sia più vantaggioso rispetto alle stesse condizioni dietetiche in assenza di questa supplementazione. Qualcuno di questi autori li considera comunque utili in forma libera, perchè in questo modo riescono a rendersi disponibili in maniera molto rapida. Secondo altri, in condizioni leggermente ipocaloriche – nei regimi di cosiddetta “ricomposizione corporea” – potrebbero fornire un contributo.
Tuttavia queste sono ancora teorie, e non sembrano esistere dei test e delle ricerche dirette in grado di confermarlo. L’assimilazione rapida dei BCAA liberi potrebbe essere certamente utile in condizioni particolari, ma consideriamo che il rilascio di amminoacidi ottenuti dal cibo proteico assunto durante la giornata è costante, specie se si assumono pasti proteici frazionati per più volte al giorno come avviene nella maggior parte dei casi. Parte degli amminoacidi ricavati dalle proteine alimentari infatti viene trattenuta dal piccolo intestino (attorno al 30-50%) per essere rilasciata in seguito, quando il cibo non è più disponibile .
Uno dei tipici benefici attribuiti ai BCAA è quello di agente anabolico, ovvero che dovrebbe favorire una maggiore crescita muscolare. In realtà, i BCAA isolati dimostrano di per sé al massimo deboli capacità di stimolare la sintesi proteica muscolare (MPS) post-ingestione rispetto alle proteine con una pari quantità di BCAA, e non risulta un chiaro effetto a lungo termine sulla crescita o il mantenimento muscolare in associazione all’allenamento con i pesi.
Cosa più importante, assumere una quantità di proteine ottimale per gli sportivi già apporta molti BCAA contenuti nel cibo, e dato che spesso chi si allena in palestra assume giornalmente ben più proteine di quelle che sarebbero necessarie (>2.2 g/kg), l’apporto di BCAA con il cibo eccede i livelli minimi per ottimizzare l’anabolismo che si otterrebbero con un apporto proteico di almeno 1.6 g/kg (1,7).
Se dal punto di vista dell’anabolismo i BCAA non risultano chiaramente utili, spesso vengono proposti come supplemento anti-catabolico durante l’esercizio. In primo luogo, l’effetto anti-catabolico è stato messo in discussione da alcuni scienziati , anche se alcuni studi hanno raccolto degli indizi a supporto di questa idea .
Ad ogni modo l’esercizio fisico non espone a catabolismo muscolare nel contesto della normale alimentazione. L’eventuale processo di catabolismo muscolare viene enfatizzato nell’esercizio a digiuno, ma questo non è un indicatore della perdita di massa muscolare. Il fatto che in un momento della giornata (come nel digiuno notturno o negli allenamenti a digiuno) si verifichi un leggero catabolismo muscolare, non è indice di una perdita di massa muscolare.
In conclusione, i BCAA possono sicuramente rivelarsi un integratore molto utile, ma è necessario tenere conto del fatto che le proteine alimentari, specie se di alta qualità, ne esprimono un buon contenuto, pertanto una supplementazione ulteriore in condizioni di dieta fortemente iperproteica può rivelarsi facilmente superflua o inutile. Poiché però una buona parte degli utenti fitness, e spesso anche gli atleti di endurance, potrebbero non coprire le richieste proteiche e/o caloriche necessarie per il loro fabbisogno (anche solo a causa dell’eventuale bilancio calorico negativo), in questi casi la supplementazione di BCAA può essere sicuramente più sensata.
Orario migliore per allenarsi.
Come, con quali strumenti, quando, in che luogo… Quante sono le variabili da tenere in conto per pianificare il proprio allenamento? Sono moltissime: si sa, e ciascuno può scegliere in libertà le caratteristiche del proprio allenamento, in base alle esigenze e allo stile di vita che conduce.
Ma, tra tutte le possibili differenze, ce n’è una che è più importante di tutte: quando allenarsi. Si tratta di un fattore molto importante per la riuscita dell’esercizio fisico: il momento in cui ci si allena, infatti, influisce molto sulla nostra performance, sulle calorie bruciate, e — a lungo tempo — anche sul modo in cui perdiamo o acquistiamo peso e massa muscolare.
In generale, potremmo dire che il momento della giornata in cui ci alleniamo, così come il numero di volte a settimana, dice molto anche del nostro carattere e della nostra attitudine all’attività fisica: siamo sportivi costanti o saltuari? Ci piace tenerci in forma o lo facciamo “per dovere”, come modo per preservare la nostra salute?
Chi preferisce dormire un po’ di più e allenarsi prima di pranzo, chi invece lavora fino a tardi e preferisce dedicare all’allenamento le prime ore mattutine, chi invece vuole rimandare l’ora dello sport alla sera, quando i pensieri della giornata sono ormai alle spalle: a qualsiasi gruppo si appartenga, l’importante è trovare del tempo da dedicare allo sport, cercando di conciliare al meglio questa necessità con i propri impegni lavorativi e le proprie esigenze. Anche se un po’ sacrificato, insomma, un piccolo allenamento è meglio che non allenarsi affatto, a prescindere dal momento che si sceglie.
In questo articolo scopriremo se c’è, di fatto, un’ora ideale per praticare sport e quali sono le principali differenze tra i vari tipi di allenamento.
ORMONI UTILI ALL’ALLENAMENTO: GH, TESTOSTERONE, CORTISOLO.
Così come le ore di un orologio, anche il nostro bioritmo è scandito da un ciclo e, in base all’ora del giorno, alcune caratteristiche fisiche cambiano nel nostro organismo: in particolare la temperatura corporea e i livelli ormonali.
Molti studi affermano che, per la maggior parte delle persone, il momento migliore della giornata per allenarsi sia il tardo pomeriggio o la sera, perché è proprio in questo momento che la temperatura dei muscoli raggiunge il suo picco massimo. Più i muscoli sono caldi, infatti, più diminuisce il rischio di procurarsi strappi e infortuni e allo stesso tempo aumenta il ritmo metabolico (si bruciano più calorie e si perde peso più facilmente). Tuttavia, basta svolgere un breve ma efficace riscaldamento prima dell’allenamento per ottenere lo stesso effetto.
L’orologio biologico regola anche i nostri ormoni, il cui scopo è quello di tenere in equilibrio il nostro organismo tramite una moltitudine di ruoli e funzioni differenti. Tra i tanti, tre ormoni sono particolarmente legati all’attività fisica: il GH, il testosterone e il cortisolo. Vediamo nel dettaglio come influiscono sul nostro allenamento:
- Il GH (Growth Hormone) è conosciuto anche con il nome di “somatotropina” o “ormone somatotropo” (STH) o anche, più semplicemente, come “ormone della crescita”: è un ormone prodotto dall’ipofisi, che stimola la crescita dell’organismo. I suoi livelli sono molto alti durante l’adolescenza, permettendo così all’organismo di svilupparsi in altezza; si stabilizza invece durante l’età adulta. La carenza di questo ormone può causare una drastica diminuzione della massa muscolare, favorendo invece l’aumento di quella adiposa, contrastando gli effetti di un normale allenamento. Un basso livello di GH può essere alla base, inoltre, di una scarsa tolleranza dell’esercizio fisico.
- Il testosterone è un ormone appartenente al gruppo degli androgeni, ovvero ormoni sessuali tipicamente maschili, ma presenti e importanti anche nelle donne. In base ai livelli di testosteroneaumenta in modo proporzionale anche la massa muscolare. Quando il corpo si allena, il testosterone nel sangue aumenta; a sua volta questo incrementa l’attività dei recettori androgenici quando siamo a riposo, il che è di grande vantaggio per una persona sportiva, perché determina un incremento del tasso di sintesi proteica (e quindi anche della massa muscolare).
- L’ultimo dei tre ormoni coinvolti nell’attività fisica è il cortisolo, che è spesso definito “ormone dello stress“. I livelli di cortisolo nel sangue, infatti, aumentano vertiginosamente in condizioni di stress psico-fisico. Per questo motivo esercizi fisici estremamente intensi e prolungati e il sovrallenamento possono portare a una produzione in eccesso di tale ormone. Il cortisolo, per intenderci, è lo stesso ormone che si attiva in condizioni di estrema emergenza o di pericolo improvviso: se da una parte ci può salvare la vita, dall’altra è causa di un forte aumento della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e di zucchero nel sangue, con conseguenze a cascata sul comportamento, sul ciclo del sonno, e così via.
STABILIRE L’OBIETTIVO DELL’ALLENAMENTO.
Gli ormoni non sono l’unico fattore da prendere in considerazione quando si tenta di scegliere il momento perfetto per allenarsi: bioritmo giornaliero, stile di vita e abitudini alimentari, livelli di stress e stato mentale generale hanno un forte peso sulla scelta finale e sulla definizione delle circostanze ideali per allenarsi.
Per venire a capo di questa intricata situazione, la prima cosa da fare è definire il proprio obiettivo di allenamento. Quando si inizia un’attività sportiva, infatti, è fondamentale stabilire almeno un obiettivo da raggiungere attraverso l’esercizio fisico. Per chi è alle prime armi, la cosa più sensata da fare è fissare un unico obiettivo, semplice e realistico, per riuscire a raggiungerlo in un tempo non troppo lungo e con degli sforzi proporzionati alle proprie capacità; in caso contrario, il rischio è quello di scoraggiarsi appena insorgono le prime difficoltà e abbandonare del tutto l’allenamento.
Fissare un obiettivo, infatti, permette di capire non solo a che punto si vuole arrivare, ma anche da che punto è meglio iniziare; permette, inoltre, di fare una stima dei tempi in relazione al proprio stile di vita e, soprattutto, dell’intensità dell’allenamento. Ma, cosa più importante di tutte, stabilire un obiettivo permette di capire quale sarà il tipo di esercizio da scegliere per ottenere risultati, a partire dall’opzione tra attività aerobica e anaerobica.
Quando si pratica attività fisica sono tanti e diversi gli obiettivi che si possono raggiungere: aumentare la massa muscolare, tonificare, aumentare la forza o l’agilità, migliorare la resistenza, diminuire la massa adiposa o perdere peso, allenare la respirazione o, semplicemente, mantenersi in forma e prevenire le malattie cardiovascolari. C’è anche chi si allena regolarmente in preparazione di un’attività sportiva specifica.
È evidente che, per fare un esempio, chi vorrà potenziare la propria massa muscolare dovrà seguire un allenamento a prevalenza anaerobico, con esercizi ad alta intensità e di breve durata. Chi, invece, vorrà perdere peso potrà puntare su un’attività meno intensa ma di durata più lunga, che sia di tipo prevalentemente aerobico.
Nella definizione dell’obiettivo d’allenamento rientra anche l’impostazione di una pianificazione settimanale o mensile: avere un punto di riferimento temporale è, infatti, molto importante per tenere alta la motivazione, sostenere il ritmo, riuscire a ricavare un po’ di tempo tra gli impegni quotidiani e non abbandonare i propri obiettivi a metà percorso. Per chi è all’inizio, ad esempio, può essere utile pianificare un allenamento di due giorni a settimana; chi ha più esperienza, invece, potrebbe scegliere un allenamento più intenso, alternando un giorno di allenamento e un giorno di riposo.
Passiamo infine all’argomento forse più spinoso: come scegliere a che orario del giorno allenarsi? Meglio di mattina o alla fine della giornata? In pausa pranzo o in serata? Per aiutarti nella scelta, abbiamo compilato una lista di vantaggi e svantaggi per l’allenamento mattutino e per quello serale.
ALLENARSI DI MATTINA: VANTAGGI E SVANTAGGI
La mattina può essere molto lunga se ci si sveglia presto, ma non tutti sono disposti a levatacce per dedicare un po’ di tempo all’allenamento. Fare esercizio fisico come prima attività della mattina è generalmente molto consigliato, ma presenta vantaggi e svantaggi in base alle abitudini e allo stile di vita di ciascun individuo.
Vantaggi dell’allenamento mattutino.
- È perfetto per chi si alza presto
- Dà energia e carica per affrontare il resto della giornata
- Migliora l’umore e la concentrazione
- Grazie agli alti livelli di testosterone, gli allenamenti hanno un impatto più efficace sull’organismo, specie se si svolgono esercizi anaerobici
- È ideale d’estate, quando le temperature all’esterno non sono ancora troppo alte
- Se si preferisce l’allenamento al chiuso, permette di frequentare le palestre in un orario in cui sono meno frequentate
Svantaggi dell’allenamento mattutino.
- Non è l’ideale per chi va a letto tardi o per chi non ama alzarsi presto
- È necessario un lungo riscaldamento prima dell’allenamento, perché al risveglio le articolazioni e i muscoli sono freddi e rigidi
- Il metabolismo non è nella sua fase di maggior attività, quindi si ha l’impressione di avere meno energia per svolgere gli esercizi
- D’inverno, a cause delle temperature particolarmente rigide, potrebbe essere molto faticoso allenarsi all’esterno
Un’alternativa all’allenamento di prima mattina è quello svolto durante la pausa pranzo, un’abitudine che sta diventando sempre più popolare.
Vantaggi dell’allenamento in pausa pranzo.
- Non richiede “levatacce” al mattino
- È ideale d’inverno, quando le temperature sono troppo rigide per allenarsi all’esterno la mattina presto o la sera tardi
- Permette di frequentare le palestre in un orario in cui sono poco frequentate
- Permette di recuperare l’energia necessaria per affrontare il resto della giornata, specie se la mattinata è stata particolarmente stressante
- Permette di allenarsi in compagnia di chi ha gli stessi orari di lavoro
Svantaggi dell’allenamento in pausa pranzo:
- Spesso la pausa pranzo è troppo breve per permettere un allenamento e un opportuno recupero (pasto compreso) prima di tornare a lavoro
- Non è adatto alle giornate estive, per via delle alte temperature
ALLENARSI DI SERA: VANTAGGI E SVANTAGGI
Anche allenarsi nel tardo pomeriggio o di sera, offre vantaggi e svantaggi particolari per il corpo.
Vantaggi di un allenamento serale
- La temperatura corporea è al suo massimo picco, quindi l’organismo ha bisogno di tempi di riscaldamento e di recupero meno lunghi (e sarà più semplice evitare strappi e infortuni)
- È ideale per abbattere lo stress della giornata, prima di andare a dormire.
- È ideale nelle giornate estive, per evitare il caldo delle ore centrali della giornata
Svantaggi di un allenamento serale
- Ha bisogno di un po’ di motivazione in più, specie se la giornata è stata particolarmente faticosa
- Può causare problemi a chi soffre di insonnia: gli allenamenti serali rendono più difficile addormentarsi.
Marco Frassinelli.
Importanza del personal trainer.
Come la maggior parte dei trend del settore fitness, anche il Personal Training lo abbiamo visto nascere e svilupparsi prima di tutto oltreoceano e nello specifico associato alle star di Hollywood.
Dopo aver vissuto in Italia l’evoluzione dei primi centri fitness principalmente orientati prima al bodybuilding e poi all’aerobica, negli anni ottanta arriva anche nel nostro paese la figura professionale del Personal Trainer.
Inizialmente associata a persone famose, con un’elevata possibilità economica di investimento e basato quasi esclusivamente sul miglioramento del proprio aspetto fisico, oggi il Personal Training, in quanto servizio in ambito fitness e wellness, ha subìto un’evoluzione molto significativa, è diventato molto più diffuso e offrendo una più vasta gamma di servizi specifici è riuscito ad avvicinarsi più facilmente alle tasche della popolazione media.
Negli anni la ricerca del benessere è declinata in diversi modi, dalla necessità di sentirsi bene e quindi di mantenersi attivi come prevenzione per la propria salute, all’esigenza di raggiungere obiettivi fisici specifici che riguardano il dimagrimento o un miglioramento estetico del proprio corpo.
A differenza di un istruttore di sala, il Personal Trainer non è solo un allenatore ma è anche educatore e motivatore, sa avvicinare le persone ad una maggiore consapevolezza e sa guidarle nel giusto percorso per il raggiungimento dei propri obbiettivi.
E’ pronto a seguire chiunque! Da colui che fa sport e si allena quotidianamente, a chi non è mai entrato in una palestra, da chi non nota miglioramenti e vuole cambiare metodo, a chi è pigro e sa che senza l’aiuto di qualcuno se ne starebbe comodamente a casa davanti alla tv. Un buon P.T. racchiude in sé diverse caratteristiche e competenze.
Egli deve:
• Saper ascoltare in modo da capire gli obiettivi e le problematiche
• Parlare in modo semplice ma efficace spiegando il perché di un esercizio o di una scelta tecnica
• Saper valutare per stabilire le condizioni fisiche di partenza e testare gli sviluppi dell’allenamento
• Creare un programma personalizzato che rispetti le caratteristiche biomeccaniche e posturali del singolo. (Non fa una scheda “copia e incolla”!!!)
• Orientare verso gli esercizi migliori, cercando di assecondare le propensioni e le preferenze dell’interessato
• Saper spiegare e mostrare la giusta tecnica degli esercizi, osservare e correggere gli eventuali errori di esecuzione consigliando le variazioni adeguate perché l’interessato si muova sempre in sicurezza (non conta le ripetizioni!!!)
• Motivare e far restare motivati specie nei momenti di difficoltà (impegni familiari o lavorativi, pigrizia, stanchezza, stress) cercando di far capire quanto la costanza degli allenamenti sia importante per il perseguimento degli obbiettivi, lodandolo per quelli raggiunti • Rendere autonomo l’interessato insegnando tutto il necessario per continuare ad allenarsi successivamente anche da solo in modo efficace, in sicurezza ed ottimizzando i tempi a disposizione (Insegna ad allenarsi!!!)
• Educare ad uno stile di vita sano suggerendo buone abitudini, regole e principi che se rispettati portano anche ad un miglioramento della qualità della vita
• Creare empatia con l’interessato, comprenderne lo stato e le sensazioni così da creare un rapporto personale e fare in modo che ogni allenamento sia una vera e propria esperienza fatta su misura
Come vedete un buon Personal Trainer ha una preparazione a 360° che va oltre gli aspetti puramente tecnici, ha esperienza nel settore e tanti anni di formazione specifica alle spalle grazie agli studi fatti che gli permette di attingere da ambiti diversi: dalle modalità di allenamento alla riabilitazione, dall’alimentazione alla psicologia senza trascurare l’ambito della comunicazione.
In conclusione, affidarsi ad un Personal Trainer è il miglior modo per investire il proprio tempo e per pianificare un programma di allenamento che permetta di raggiungere i propri obiettivi nel tempo stabilito ed in maniera sicura.
Marco Frassinelli
Frattura del crociato: la giusta riabilitazione.
Questo articolo approfondisce il programma di riabilitazione corretto per l’operazione di ricostruzione del legamento crociato anteriore.
Il legamento crociato anteriore è un’importante componente del complesso articolare del ginocchio.
Deputato al mantenimento della stabilità dell’articolazione, una sua lesione o rottura può compromettere seriamente la deambulazione, per cui deve essere trattata chirurgicamente.
Il legamento crociato anteriore è, insieme al menisco, uno degli elementi più fragili dell’articolazione; le condizioni che possono portare a una sua lesione, dunque, sono diverse.
Si annoverano tra queste:
- traumi, come un colpo, una caduta o una distorsione del ginocchio;
- usura dovuta all’utilizzo eccessivo;
- uso scorretto dell’articolazione;
- iperestensione e iperflessione articolare eccessiva.
Particolarmente esposti agli infortuni traumatici sono gli sportivi che praticano discipline in cui il contatto fisico o l’estensione esplosiva delle ginocchia sono preponderanti, come:
- calcio;
- rugby;
- sci;
- salti.
Altri soggetti a rischio, inoltre, sono le persone che svolgono un lavoro fisicamente usurante.
I sintomi più comuni che possono far sospettare una lesione del legamento crociato anteriore sono:
- il dolore;
- la difficoltà nella deambulazione;
- l’instabilità del ginocchio.
Al momento della rottura, generalmente il paziente riferisce uno schiocco a livello articolare, che impedisce il prosieguo dell’attività.
Tuttavia, è bene precisare che non sempre l’intensità dei sintomi è indicativa della gravità dell’infortunio: per questo motivo, in caso di sospetta lesione, è bene fermarsi immediatamente e, non appena possibile, sottoporsi il prima possibile a valutazione medica, al fine di evitare un aggravamento ulteriore della condizione.
L’unico modo per risolvere una lesione completa del legamento crociato anteriore è l’intervento chirurgico.
La rottura dell’LCA, infatti, espone il ginocchio ad altri infortuni e a degenerazione cartilaginea: quando non trattata, infatti, può favorire l’insorgenza precoce dell’artrosi di ginocchio, meglio conosciuta come gonartrosi.
Una volta identificata la tipologia di lesione, ovvero se si tratta di:
- allungamento del legamento;
- lesione parziale;
- lesione totale,
il medico formula il piano terapeutico più idoneo, tenendo conto soprattutto delle esigenze e delle peculiarità del singolo paziente.
Per ripristinare la stabilità passiva, comunque, non è possibile la suturazione del tessuto lacerato, per cui deve essere sostituito completamente.
A questo proposito le tre tecniche chirurgiche attualmente più utilizzate sono:
- il trapianto autologo del tendine rotuleo;
- il trapianto autologo del semitendinoso e gracile;
- l’impianto di un tendine prelevato da donatore.
A prescindere dal tessuto utilizzato, l’intervento viene eseguito in artroscopia, con una durata media dell’operazione è di circa 60-90 minuti.
L’intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore deve essere assolutamente seguito da un piano di riabilitazione post-operatorio.
La ripresa funzionale, infatti, è fortemente condizionata dai comportamenti del paziente nel periodo di recupero.
1-2 settimana
- Arto libero
- Per i primi 3-4 giorni, Kinetec fino a 60°, poi aumentato a 90°;
- Esercizi di mobilizzazione attiva di piede e ginocchio, con applicazioni di ghiaccio dopo le sessioni di allenamento;
- Senza ginocchiera: esercizi di estensione attiva del ginocchio.
3-4 settimana
- Arto libero
- Obiettivo: raggiungimento della completa estensione del ginocchio;
- Esercizi: nuoto in piscina a stile libero (no stile rana), cyclette senza frizione, squat fino a 45-90° massimo, leg press 15-20 kg, ginnastica propriocettiva;
- Alla quarta settimana, è possibile iniziare gli esercizi isotonici a catena cinetica chiusa.
5-6 settimana
- Continuare con tutti gli esercizi come nel periodo precedente (3°-4° settimana).
7-12 settimana
- Mobilità completa, proseguire con gli esercizi isotonici e la ginnastica propriocettiva;
- Aumentare leggermente i carichi delle sessioni di potenziamento muscolare;
- Introduzione degli esercizi di agilità sul campo: corda, corsa laterale, carioca.
13-16 settimana
- Proseguire con esercizi di potenziamento muscolare e aumentare difficoltà ed intensità di quelli di agilità sul campo;
- Al termine della 16° settimana, il recupero funzionale dovrebbe essere a buon punto.
Differenza tra corpo libero e macchine isotoniche.
In questo articolo tratteremo le differenze sostanziali – in termini di profitto funzionale, quindi di risultati utili – tra l’uso di macchine isotoniche e pesi liberi.
Entrambi possiedono vantaggi e svantaggi che possono soggettivamente determinare la preferenza / scelta di uno o dell’altro metodo.
Comodità ed allenamento:
L’evoluzione delle tecnologie ingegneristiche nelle progettazioni ha portato sempre di più, anche nell’allenamento con i pesi, alla pratica di un lavoro muscolare molto “comodo”.
Questo non significa – o meglio, non “dovrebbe” – che il loro utilizzo è di per sé in grado di ridurre il livello di fatica. Ciò nonostante, è piuttosto frequente che si manifesti proprio un equivoco simile.
L’impressione – che qualunque trainer esperto può confermare – è che gli utenti impegnati solo nell’uso di macchine isotoniche risultino meno propensi a raggiungere le alte intensità – mentre l’obbiettivo è esattamente l’opposto.
Range di Mobilità Articolare
Movimento guidato: vantaggio o svantaggio?
Dal punto di vista tecnico, ciò che immediatamente salta all’occhio è il prefissato range di mobilità articolare imposto dall’attrezzo, nonché il percorso del gesto che stabilisce a priori la via del movimento. In realtà quindi, è la persona che si adatta alla traiettoria della macchina e non viceversa.
Questa caratteristica non è, a dire il vero, un fatto causale; limitando il movimento e scegliendo in che posizione esprimere il rom (range of movement) lavorare, si impone un movimento guidato che:
- non consente scorrettezze nella forma – anche se, come vedremo, non esiste una forma universale;
- stabilizza l’articolazione (funzione normalmente a carico della muscolatura accessoria) – utile soprattutto a chi lamenta certe problematiche funzionali.
Ciò detto, non si può negare la totalmente incuranza dell’individualità biomeccanica di questi strumenti. In certi casi, la forte limitazione del movimento porta infatti all’effetto opposto, cioè un’errata esecuzione o alla sollecitazione negativa di tendini e articolazioni.
Portiamo subito un esempio per chiarire meglio la questione; mettiamo a confronto di squat libero e leg presse per le gambe, orizzontale od obliqua, a catena, cavo o carico manuale.
La leg press viene spesso consigliata in alternativa allo squat, in particolare quando non vi è possibilità di praticare l’accosciata a causa di problemi vari, quali retrazioni muscolari, fissazioni articolari, instabilità, ecc.
Tale scelta è motivata dalla ricerca di un gesto più controllabile, ma comunque incurante dei suddetti problemi. Malgrado l’incapacità di compiere un movimento, infatti, nella leg press questo verrà comunque portato a termine a discapito della fisiologia articolare.
Per intenderci, anche se le caviglie non riuscissero a flettersi dorsalmente – cosa che ovviamente ostacola l’accosciata nello squat – nella leg press la pedana scenderebbe ugualmente forzando una flessione dorsale non fisiologica della caviglia. Stesso discorso per una rigidità del tratto lombosacrale; alla discesa della piattaforma conseguirebbe una retroversione del bacino, quindi una flessione delle anche non fisiologica e forzata.
L’eventuale sintomatologia dolorosa annessa può anche determinare un compenso articolare collaterale, portando all’insorgenza o all’aggravamento di altri disagi – passare dallo squat alla pressa per la difficoltà nell’accosciata e ritrovarsi con una lombalgia non è certo il massimo della strategia.
Si potrebbe affermare, quindi, che da un punto di vista articolare, anche le macchine isotoniche possono creare dei problemi, se non opportunamente gestite – in linea generale, se non si gode di una buona flessibilità muscolo-scheletrica.
Questo problema è quasi inesistente nell’uso dei cavi a carrucole orientabili, che assicurano comunque l’isotonicità delle macchine, ma non vincolano il movimento e lasciano l’utente libero di correggersi.
Forza e Ipertrofia
Cerchiamo ora di capire, in termini di funzionalità, forza pura e ipertrofia, quale dei due sistemi può essere più redditizio.
Raggiungere il cedimento muscolare da soli
Partiamo specificando che l’uso di pesi liberi impone un’espressione di forza variabile a causa delle leggi fisiche che governano lo spostamento degli stessi. I cavi e le macchine isotoniche, che si chiamano in questo modo proprio perché evitano questa problematica, richiedono più o meno la stessa forza in tutta l’escursione del movimento. Questo è normalmente considerato un vantaggio, perché facilita la gestione delle ripetizioni e del raggiungimento di cedimento muscolare anche senza spotter (compagno di allenamento).
Instabilità e carico allenante
D’altro canto, l’uso di pesi liberi determina instabilità. Il fatto di mantenere l’equilibrio e gestire un sovraccarico, ad esempio sulle spalle come nello squat, impone al corpo di mantenere continuamente la sua correttezza di movimento usando gli altri muscoli– detti appunto stabilizzatori – che fissano le articolazioni. Ciò determina sicuramente un maggior impegno nervoso, centrale e periferico, ma anche energetico e metabolico. Si potrebbe dire che, rispetto agli esercizi con le macchine isotoniche, quelli con i pesi liberi sono globalmente più funzionali, completi e stimolanti l’espressione complessa di forza.
I muscoli della colonna vertebrale sono sollecitati in modo isometrico per mantenere l’equilibrio sui vari piani dello spazio e questo aiuta ad incrementare le capacità della muscolatura posturale di assolvere alla sua funzione di protettori della colonna. Le caviglie non sono fisse ma libere di muoversi e le capacità propriocettive dei legamenti del piede sono sollecitate in modo importante, ancora meglio se si pratica lo squat senza scarpe. Tutto questo ovviamente non avviene nella leg press anche se, da un punto di vista muscolare, per le cosce, l’attivazione è molto simile – a seconda, ovviamente, di come si posizionano i piedi.
I bodybuilders vecchio stampo, nonché i sollevatori di pesi, i velocisti dell’atletica, i giocatori di rugby e tutti gli atleti in generale, conoscono bene l’importanza di eseguire lo squat come esercizio di costruzione muscolare e forza, assieme a stacco da terra e military press. Tutti esercizi che coinvolgono primariamente grossi gruppi muscolari, attivano in modo importante la secrezione di ormoni anabolizzanti e accrescono le capacità di stabilizzazione articolare e la propriocezione dell’intero corpo.
Per consolidare questa affermazione è sufficiente fare il paragone tra squat libero e alla Smith Machine (multypower); chi è abituato a usare quest’ultima, difficilmente saprà gestire uno squat libero. Stessa cosa dicasi per le macchine come:
- chest press in confronto alla classica bench press in panca piana, con bilanciere o manubri; l’instabilità che crea il lavoro con bilanciere o manubri, mette in condizione il soggetto di usare un carico nettamente inferiore rispetto al chest press;
- shoulders press machine paragonata alla military press (lento avanti); la destabilizzazione che crea il lavoro con pesi liberi mette a dura prova la capacità dei fissatori delle spalle che sono costretti a contenere l’articolazione al fine di permettere il movimento creando un adattamento funzionale che comporta un aumento della forza e della crescita muscolare;
Le comparazioni tra esercizi con pesi liberi e macchine potrebbero procedere per decine di esercizi e la lista potrebbe essere anche noiosa.
Tabella riassuntiva: Macchine VS Pesi liberi
Pesi liberi | Macchine isotoniche |
Costo basso e facile reperimento | Costo ed ingombro elevati |
Sono versatili perché adattabili a più esercizi | Consentono di effettuare un solo o un numero limitato di esercizi ciascuna |
Coinvolgono sia l’attività muscolare concentrica che quella eccentrica | Alcune macchine idrauliche e isocinetiche riducono notevolmente l’attività muscolare eccentrica |
Necessitano maggiore coordinazione e stabilizzazione di movimento (si controllano su tutte le dimensioni dello spazio | Necessitano minore coordinazione e stabilizzazione di movimento (generalmente si controllano su un solo piano di movimento) |
Causano un rialzo pressorio maggiore e necessitano l’apprendimento di una corretta tecnica di respirazione. | Causano un rialzo pressorio minore che va comunque controllato utilizzando una tecnica di respirazione corretta |
Difficilmente riescono ad isolare il singolo movimento o gruppo muscolare | Permettono di isolare maggiormente un movimento o un gruppo muscolare |
Allenano anche i muscoli stabilizzatori del movimento, tramite contrazione statica | Allenano un numero inferiore di muscoli stabilizzatori |
L’apprendimento della corretta tecnica di esecuzione richiede tempi maggiori | L’apprendimento della corretta tecnica di esecuzione richiede tempi minori |
Maggiore rischio di infortuni | Minore rischio di infortuni |
Non necessitano di regolazioni esterne | Necessitano di regolazione esterna, inoltre i bambini, i soggetti molto alti o molto bassi potrebbero non trovare la regolazione adatta |
Permettono traiettorie fisiologicamente più corrette | Molto spesso obbligano a traiettorie forzate non fisiologicamente corrette |
Permettono di lavorare con la percentuale di carico desiderata solo nel breve tratto del movimento articolare ove il segmento corporeo ha il massimo braccio di leva (momento). | Consentono al muscolo di sviluppare una tensione (carico) ed una velocità esecutiva costanti per tutta l’escursione articolare (macchine a camme) |
Educano la propriocezione e migliorano la coordinazione motoria | Non educano la propriocezione e la coordinazione motoria |
Inducono maggiori sollecitazioni a carico della colonna vertebrale | Inducono minori sollecitazioni a carico della colonna vertebrale (se costruite con criterio) |
“potrebbero” indurre una maggiore risposta ormonale anabolica | Inducono una minore risposta ormonale |
Alla fine del discorso ciò che conta è capire che la standardizzazione di un movimento che impone una macchina, ed il fatto di far lavorare la macchina al posto nostro sulla stabilità, è senz’altro comodo ma è poco funzionale ai fini della crescita muscolare o della forza. Per ciò che riguarda i cavi invece, si possono rivelare molto utili nell’allenamento in solitaria. In conclusione, solo impostante l’allenamento sull’utilizzo di pesi liberi si può ottenere il massimo del risultato per quanto riguarda: l’aumento del rilascio di ormoni anabolizzanti, un aumento della forza muscolare, un incremento delle capacità delle strutture stabilizzanti, l’aumento della capacità propriocettiva legamentosa, una densificazione delle strutture connettivali.
Questo non significa che usando solo macchine isotoniche e cavi non sia possibile avere dei risultati, ma saranno inferiori sotto diversi punti di vista rispetto al ferro e alla ghisa liberi.
Restando nel mondo del bodybuilding, basta osservare tutti i grandi giganti di questo sport per capire che questi dedicano gran parte dei loro allenamenti ad esercizi multiarticolari con pesi liberi. Per non parlare dei powerlifter che quasi non conoscono le macchine utilizzate nel fitness in generale.
La scelta più corretta, anche se un vero e proprio ideale non esiste, potrebbe essere di:
- strutturare l’allenamento basato anzitutto sugli esercizi multiarticolari con i pesi liberi come squat, stacco da terra, bench press, military press e pull-up;
- utilizzare i cavi nella ricerca di cedimento muscolare senza spotter, e le macchine isotoniche quando si vogliono macinare molte ripetizioni per raggiungere quel pump muscolare tale da creare quella raccolta di sangue nel muscolo importante per un buon trofismo, quindi crescita;
Non bisogna dunque ragionare in modo estremista ed asserire che le macchine sono inutili ma bisogna tenere bene a mente che la macchina isotonica, classica, convergente monolaterale simmetrica o di altro tipo, è uno strumento di allenamento nel fitness che va utilizzato con criterio per apportare i dovuti benefici.
Peraltro, esistono in commercio delle attrezzature isotoniche sulle quali sono possibili le variazioni da soggetto a soggetto nella modulazione del range di mobilità. Questo è molto interessante in particolar modo per quegli individui che hanno delle forti limitazioni di mobilità dove, quindi, è possibile lavorare in sicurezza prefissando i limiti del movimento individuali.
In questo modo anche con limitazioni funzionali è possibile allenare determinati gruppi funzionali di muscoli, i quali a poco a poco saranno pronti alla pratica dei grandi esercizi, a patto ovviamente che il programma di allenamento comprenda dei tempi specifici per l’incremento della mobilità articolare e della flessibilità muscolare, ma questa è un’altra questione.
In ogni caso si dovrebbe sempre cercare di educare il soggetto a lavorare con i grandi movimenti multi-articolari a pesi liberi, o comunque, come accennato prima, dopo un breve periodo di lavoro sulle macchine, in caso di costretto lavoro con range limitati. In particolar modo questo discorso è enfatizzato negli atleti per i quali un buon 90% del lavoro dovrebbe essere praticato con pesi liberi.