
Efficacia degli aminoacidi ramificati.
Gli aminoacidi ramificati (BCAA, da branched-chain amino acids) sono forse ancora oggi tra i supplementi più popolari nel fitness e nell’attività fisica in generale. Ma questo è probabilmente anche il caso più emblematico in cui esiste una larga discrepanza tra la popolarità di un supplemento e la sua inefficacia.
I BCAA sono tre amminoacidi essenziali: leucina, isoleucina, valina e da soli compongono il 40% degli aminoacidi di un muscolo. Hanno la caratteristica di bypassare il passaggio attraverso il fegato venendo metabolizzati direttamente dalle fibre muscolari.
A cosa servono gli aminoacidi ramificati?
L’uso dei BCAA è una delle strategie più utilizzate ai fini del miglioramento della composizione corporea nell’ambito del fitness e del culturismo. La popolarità di questa pratica potrebbe essere in parte dovuta ad interpretazioni distorte e sopravvalutazioni dei risultati ottenuti dal loro uso nelle ricerche scientifiche, supportati da chi ha interessi di vendita, in parte dovuta al fatto che più si sente nominare un’informazione o si nota la popolarità di una certo integratore, e più si crede sia vera e fondata, a prescindere dalla sua reale efficacia.
A riguardo dell’utilità dei BCAA raramente sentiamo esprimersi esperti di alto livello e di fama internazionale. Sembra quasi che i BCAA, a causa della loro popolarità, vengano accettati a priori come uno dei supplementi più efficaci, e fondamentali per garantire i guadagni muscolari o un supporto anticatabolico, come succede con le migliori proteine in polvere.
Sebbene queste nozioni possano essere valide in diverse circostanze, questo non sembra essere il caso in gran parte delle condizioni alimentari a cui sono sottoposti i culturisti o gli atleti di forza.
Benefici e vantaggi dei BCAA: funzionano veramente?
Ad oggi i BCAA non sono riconosciuti come un supplemento particolarmente utile o importante per l’attività sportiva , che questa sia finalizzata alla crescita muscolare, alla perdita di grasso o alla performance, alcuni importanti ricercatori li hanno addirittura giudicati controproducenti per l’anabolismo.
Ma è comprensibile che questa informazione tecnica tardi ad arrivare alle persone e a molti operatori, in buona parte perché influenzati dalle credenze popolari fortemente radicate dei tempi passati, in parte perché non tutti stanno al passo con i continui aggiornamenti della ricerca e le più recenti evoluzioni del settore. Questo senza considerare l’opposizione di chi, in una posizione di conflitto di interessi, comprensibilmente ignora questo cambio di direzioni per poter continuare a promuoverne la vendita.
Per come venivano riconosciuti in passato secondo le opinioni più comuni, i BCAA sembravano risultare tra i migliori e più efficaci supplementi per l’attività fisica. I benefici attribuiti andavano dalla crescita muscolare, al dimagrimento, al miglioramento di vari tipi di performance, al recupero fisico, al migliore focus mentale.
Ad oggi, quantomeno gran parte di questi benefici sono stati fortemente messi in discussione tra scienziati ed esperti, e se proprio bisognasse riconoscere un potenziale effetto positivo, questo risulta limitato a situazioni particolari che in genere non riguardano chi si allena in palestra, soprattutto con un piano alimentare mirato (vedi diete scarsamente proteiche, o pazienti ricoverati o anziani).
Effetto “energetico”
Una proprietà che viene spesso attribuita ai BCAA nel contesto sportivo è quella di agire come supplemento energetico, un ruolo che potrebbe essere enfatizzato per supportare un’ulteriore presunta funzione ergogenica aggiuntiva al ritardo della fatica centrale.
I BCAA risultano un substrato energetico come tutti i nutrienti calorici, e dato che vengono ossidati (impiegati come energia) preferenzialmente dal muscolo scheletrico bypassando la metabolizzazione da parte del fegato (18,19) (come accade invece per gli altri amminoacidi), questo dettaglio decontestualizzato potrebbe essere messo in risalto per poterne valorizzare il ruolo energetico per il muscolo sotto sforzo.
Rimane però discutibile che i BCAA siano più efficienti dei carboidrati per apportare energia sotto sforzo, dato che anche questi ultimi vengono prontamente e prioritariamente ossidati dal muscolo contribuendo ad apportare energia immediata , sopprimendo inoltre l’eventuale ossidazione dei BCAA muscolari. Inoltre, a parità di litri d’ossigeno consumato il glucosio produce 5.36 kcal, mentre i BCAA soltanto 3.33 kcal: sarebbero quindi una fonte di carburante molto meno efficiente.
Per concludere, l’esercizio fisico richiede energia, e se il cibo scarseggia il corpo sarà portato a ricavarla da substrati depositati nel corpo, tra cui in minima parte dai BCAA muscolari; mentre in caso contrario la ricaverà da ciò che viene introdotto dall’esterno, che essi siano carboidrati o BCAA isolati.
Recupero muscolare
Tra i vari proposti benefici, i BCAA favorirebbero il recupero accelerando il ripristino di vari parametri:
- l’indolenzimento muscolare (DOMS),
- il danno muscolare,
- la performance,
- la funzionalità muscolare temporaneamente deteriorate dagli allenamenti estenuanti o dai nuovi stimoli di allenamento (13,14,15).
Per quanto sia stato stabilito un effetto benefico per alcuni aspetti del recupero, anche in questo caso lo si osserva in condizioni in cui l’apporto proteico risulta subottimale per lo sportivo, o in cui i BCAA assunti a ridosso dell’allenamento vengono paragonati a un placebo (zucchero). Alcuni ricercatori infatti sottolineano che i BCAA potrebbero agire positivamente sul recupero se l’apporto proteico è al di sotto di 1.6 g/kg di proteine , cioè inferiore alle soglie minime ottimali per chi si allena con i pesi.
Effetto ergogenico
Uno dei più citati effetti dei BCAA è il ruolo ergogenico, cioè di miglioramento della performance sportiva. L’ipotesi originale verteva sul ritardo della fatica a carico del sistema nervoso centrale: per farla breve, impedendo l’accesso del triptofano al cervello per sintetizzare serotonina, un neurotrasmettitore implicato nell’affaticamento, i BCAA avrebbero limitato o ritardato la fatica a livello centrale.
Ma da molti anni l’ipotesi dei BCAA per la fatica centrale è stata messa in discussione data anche l’assenza di reali prove sperimentali, sollevando dei dubbi sulla sua validità. Inoltre, la fatica centrale risulta molto più influenzata dalla durata che non dall’intensità dell’esercizio, e non a caso questi effetti dei BCAA vengono trattati nel contesto dell’endurance prolungata più che dell’allenamento con i pesi.
Questo da una parte potrebbe validare l’utilizzo dei BCAA come potenziale ergogenico per l’endurance prolungata, dall’altra pone ulteriori dubbi sull’utilità negli sport con i pesi, per caratteristica intensi e di durata breve o moderata. Ma anche i carboidrati assunti nel pre-allenamento aerobico, attorno a 1.5 g/kg, sono capaci di ritardare la fatica centrale rispetto a un pasto meno glucidico (0.8 g/kg) con le stesse proteine. Quindi rimane discutibile che i BCAA abbiano un effetto unico in tal senso che non può essere ottenuto con il cibo o con i carboidrati.
Aminoacidi ramificati BCAA per la massa muscolare (bodybuilding)
Molti autori citano l’autocondizionamento psicologico e l’effetto placebo quando un atleta giustifica l’utilizzo di BCAA per la presunta efficacia riscontrata, e questo aspetto è naturalmente ben documentato in letteratura, nonché uno dei principali punti di forza su cui possono fare affidamento le aziende di integratori. Che sia placebo o che funzioni realmente poco importa, in quanto è sufficiente che il compratore sia solo “psicologicamente soddisfatto”.
Sta di fatto che ad oggi sembra che nessuna ricerca abbia dimostrato chiaramente che l’uso di BCAA nelle classiche condizioni “culturistiche” (dieta adeguatamente calorica e proteica) sia più vantaggioso rispetto alle stesse condizioni dietetiche in assenza di questa supplementazione. Qualcuno di questi autori li considera comunque utili in forma libera, perchè in questo modo riescono a rendersi disponibili in maniera molto rapida. Secondo altri, in condizioni leggermente ipocaloriche – nei regimi di cosiddetta “ricomposizione corporea” – potrebbero fornire un contributo.
Tuttavia queste sono ancora teorie, e non sembrano esistere dei test e delle ricerche dirette in grado di confermarlo. L’assimilazione rapida dei BCAA liberi potrebbe essere certamente utile in condizioni particolari, ma consideriamo che il rilascio di amminoacidi ottenuti dal cibo proteico assunto durante la giornata è costante, specie se si assumono pasti proteici frazionati per più volte al giorno come avviene nella maggior parte dei casi. Parte degli amminoacidi ricavati dalle proteine alimentari infatti viene trattenuta dal piccolo intestino (attorno al 30-50%) per essere rilasciata in seguito, quando il cibo non è più disponibile .
Uno dei tipici benefici attribuiti ai BCAA è quello di agente anabolico, ovvero che dovrebbe favorire una maggiore crescita muscolare. In realtà, i BCAA isolati dimostrano di per sé al massimo deboli capacità di stimolare la sintesi proteica muscolare (MPS) post-ingestione rispetto alle proteine con una pari quantità di BCAA, e non risulta un chiaro effetto a lungo termine sulla crescita o il mantenimento muscolare in associazione all’allenamento con i pesi.
Cosa più importante, assumere una quantità di proteine ottimale per gli sportivi già apporta molti BCAA contenuti nel cibo, e dato che spesso chi si allena in palestra assume giornalmente ben più proteine di quelle che sarebbero necessarie (>2.2 g/kg), l’apporto di BCAA con il cibo eccede i livelli minimi per ottimizzare l’anabolismo che si otterrebbero con un apporto proteico di almeno 1.6 g/kg (1,7).
Se dal punto di vista dell’anabolismo i BCAA non risultano chiaramente utili, spesso vengono proposti come supplemento anti-catabolico durante l’esercizio. In primo luogo, l’effetto anti-catabolico è stato messo in discussione da alcuni scienziati , anche se alcuni studi hanno raccolto degli indizi a supporto di questa idea .
Ad ogni modo l’esercizio fisico non espone a catabolismo muscolare nel contesto della normale alimentazione. L’eventuale processo di catabolismo muscolare viene enfatizzato nell’esercizio a digiuno, ma questo non è un indicatore della perdita di massa muscolare. Il fatto che in un momento della giornata (come nel digiuno notturno o negli allenamenti a digiuno) si verifichi un leggero catabolismo muscolare, non è indice di una perdita di massa muscolare.
In conclusione, i BCAA possono sicuramente rivelarsi un integratore molto utile, ma è necessario tenere conto del fatto che le proteine alimentari, specie se di alta qualità, ne esprimono un buon contenuto, pertanto una supplementazione ulteriore in condizioni di dieta fortemente iperproteica può rivelarsi facilmente superflua o inutile. Poiché però una buona parte degli utenti fitness, e spesso anche gli atleti di endurance, potrebbero non coprire le richieste proteiche e/o caloriche necessarie per il loro fabbisogno (anche solo a causa dell’eventuale bilancio calorico negativo), in questi casi la supplementazione di BCAA può essere sicuramente più sensata.

Orario migliore per allenarsi.
Come, con quali strumenti, quando, in che luogo… Quante sono le variabili da tenere in conto per pianificare il proprio allenamento? Sono moltissime: si sa, e ciascuno può scegliere in libertà le caratteristiche del proprio allenamento, in base alle esigenze e allo stile di vita che conduce.
Ma, tra tutte le possibili differenze, ce n’è una che è più importante di tutte: quando allenarsi. Si tratta di un fattore molto importante per la riuscita dell’esercizio fisico: il momento in cui ci si allena, infatti, influisce molto sulla nostra performance, sulle calorie bruciate, e — a lungo tempo — anche sul modo in cui perdiamo o acquistiamo peso e massa muscolare.
In generale, potremmo dire che il momento della giornata in cui ci alleniamo, così come il numero di volte a settimana, dice molto anche del nostro carattere e della nostra attitudine all’attività fisica: siamo sportivi costanti o saltuari? Ci piace tenerci in forma o lo facciamo “per dovere”, come modo per preservare la nostra salute?
Chi preferisce dormire un po’ di più e allenarsi prima di pranzo, chi invece lavora fino a tardi e preferisce dedicare all’allenamento le prime ore mattutine, chi invece vuole rimandare l’ora dello sport alla sera, quando i pensieri della giornata sono ormai alle spalle: a qualsiasi gruppo si appartenga, l’importante è trovare del tempo da dedicare allo sport, cercando di conciliare al meglio questa necessità con i propri impegni lavorativi e le proprie esigenze. Anche se un po’ sacrificato, insomma, un piccolo allenamento è meglio che non allenarsi affatto, a prescindere dal momento che si sceglie.
In questo articolo scopriremo se c’è, di fatto, un’ora ideale per praticare sport e quali sono le principali differenze tra i vari tipi di allenamento.
ORMONI UTILI ALL’ALLENAMENTO: GH, TESTOSTERONE, CORTISOLO.
Così come le ore di un orologio, anche il nostro bioritmo è scandito da un ciclo e, in base all’ora del giorno, alcune caratteristiche fisiche cambiano nel nostro organismo: in particolare la temperatura corporea e i livelli ormonali.
Molti studi affermano che, per la maggior parte delle persone, il momento migliore della giornata per allenarsi sia il tardo pomeriggio o la sera, perché è proprio in questo momento che la temperatura dei muscoli raggiunge il suo picco massimo. Più i muscoli sono caldi, infatti, più diminuisce il rischio di procurarsi strappi e infortuni e allo stesso tempo aumenta il ritmo metabolico (si bruciano più calorie e si perde peso più facilmente). Tuttavia, basta svolgere un breve ma efficace riscaldamento prima dell’allenamento per ottenere lo stesso effetto.
L’orologio biologico regola anche i nostri ormoni, il cui scopo è quello di tenere in equilibrio il nostro organismo tramite una moltitudine di ruoli e funzioni differenti. Tra i tanti, tre ormoni sono particolarmente legati all’attività fisica: il GH, il testosterone e il cortisolo. Vediamo nel dettaglio come influiscono sul nostro allenamento:
- Il GH (Growth Hormone) è conosciuto anche con il nome di “somatotropina” o “ormone somatotropo” (STH) o anche, più semplicemente, come “ormone della crescita”: è un ormone prodotto dall’ipofisi, che stimola la crescita dell’organismo. I suoi livelli sono molto alti durante l’adolescenza, permettendo così all’organismo di svilupparsi in altezza; si stabilizza invece durante l’età adulta. La carenza di questo ormone può causare una drastica diminuzione della massa muscolare, favorendo invece l’aumento di quella adiposa, contrastando gli effetti di un normale allenamento. Un basso livello di GH può essere alla base, inoltre, di una scarsa tolleranza dell’esercizio fisico.
- Il testosterone è un ormone appartenente al gruppo degli androgeni, ovvero ormoni sessuali tipicamente maschili, ma presenti e importanti anche nelle donne. In base ai livelli di testosteroneaumenta in modo proporzionale anche la massa muscolare. Quando il corpo si allena, il testosterone nel sangue aumenta; a sua volta questo incrementa l’attività dei recettori androgenici quando siamo a riposo, il che è di grande vantaggio per una persona sportiva, perché determina un incremento del tasso di sintesi proteica (e quindi anche della massa muscolare).
- L’ultimo dei tre ormoni coinvolti nell’attività fisica è il cortisolo, che è spesso definito “ormone dello stress“. I livelli di cortisolo nel sangue, infatti, aumentano vertiginosamente in condizioni di stress psico-fisico. Per questo motivo esercizi fisici estremamente intensi e prolungati e il sovrallenamento possono portare a una produzione in eccesso di tale ormone. Il cortisolo, per intenderci, è lo stesso ormone che si attiva in condizioni di estrema emergenza o di pericolo improvviso: se da una parte ci può salvare la vita, dall’altra è causa di un forte aumento della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e di zucchero nel sangue, con conseguenze a cascata sul comportamento, sul ciclo del sonno, e così via.
STABILIRE L’OBIETTIVO DELL’ALLENAMENTO.
Gli ormoni non sono l’unico fattore da prendere in considerazione quando si tenta di scegliere il momento perfetto per allenarsi: bioritmo giornaliero, stile di vita e abitudini alimentari, livelli di stress e stato mentale generale hanno un forte peso sulla scelta finale e sulla definizione delle circostanze ideali per allenarsi.
Per venire a capo di questa intricata situazione, la prima cosa da fare è definire il proprio obiettivo di allenamento. Quando si inizia un’attività sportiva, infatti, è fondamentale stabilire almeno un obiettivo da raggiungere attraverso l’esercizio fisico. Per chi è alle prime armi, la cosa più sensata da fare è fissare un unico obiettivo, semplice e realistico, per riuscire a raggiungerlo in un tempo non troppo lungo e con degli sforzi proporzionati alle proprie capacità; in caso contrario, il rischio è quello di scoraggiarsi appena insorgono le prime difficoltà e abbandonare del tutto l’allenamento.
Fissare un obiettivo, infatti, permette di capire non solo a che punto si vuole arrivare, ma anche da che punto è meglio iniziare; permette, inoltre, di fare una stima dei tempi in relazione al proprio stile di vita e, soprattutto, dell’intensità dell’allenamento. Ma, cosa più importante di tutte, stabilire un obiettivo permette di capire quale sarà il tipo di esercizio da scegliere per ottenere risultati, a partire dall’opzione tra attività aerobica e anaerobica.
Quando si pratica attività fisica sono tanti e diversi gli obiettivi che si possono raggiungere: aumentare la massa muscolare, tonificare, aumentare la forza o l’agilità, migliorare la resistenza, diminuire la massa adiposa o perdere peso, allenare la respirazione o, semplicemente, mantenersi in forma e prevenire le malattie cardiovascolari. C’è anche chi si allena regolarmente in preparazione di un’attività sportiva specifica.
È evidente che, per fare un esempio, chi vorrà potenziare la propria massa muscolare dovrà seguire un allenamento a prevalenza anaerobico, con esercizi ad alta intensità e di breve durata. Chi, invece, vorrà perdere peso potrà puntare su un’attività meno intensa ma di durata più lunga, che sia di tipo prevalentemente aerobico.
Nella definizione dell’obiettivo d’allenamento rientra anche l’impostazione di una pianificazione settimanale o mensile: avere un punto di riferimento temporale è, infatti, molto importante per tenere alta la motivazione, sostenere il ritmo, riuscire a ricavare un po’ di tempo tra gli impegni quotidiani e non abbandonare i propri obiettivi a metà percorso. Per chi è all’inizio, ad esempio, può essere utile pianificare un allenamento di due giorni a settimana; chi ha più esperienza, invece, potrebbe scegliere un allenamento più intenso, alternando un giorno di allenamento e un giorno di riposo.
Passiamo infine all’argomento forse più spinoso: come scegliere a che orario del giorno allenarsi? Meglio di mattina o alla fine della giornata? In pausa pranzo o in serata? Per aiutarti nella scelta, abbiamo compilato una lista di vantaggi e svantaggi per l’allenamento mattutino e per quello serale.
ALLENARSI DI MATTINA: VANTAGGI E SVANTAGGI
La mattina può essere molto lunga se ci si sveglia presto, ma non tutti sono disposti a levatacce per dedicare un po’ di tempo all’allenamento. Fare esercizio fisico come prima attività della mattina è generalmente molto consigliato, ma presenta vantaggi e svantaggi in base alle abitudini e allo stile di vita di ciascun individuo.
Vantaggi dell’allenamento mattutino.
- È perfetto per chi si alza presto
- Dà energia e carica per affrontare il resto della giornata
- Migliora l’umore e la concentrazione
- Grazie agli alti livelli di testosterone, gli allenamenti hanno un impatto più efficace sull’organismo, specie se si svolgono esercizi anaerobici
- È ideale d’estate, quando le temperature all’esterno non sono ancora troppo alte
- Se si preferisce l’allenamento al chiuso, permette di frequentare le palestre in un orario in cui sono meno frequentate
Svantaggi dell’allenamento mattutino.
- Non è l’ideale per chi va a letto tardi o per chi non ama alzarsi presto
- È necessario un lungo riscaldamento prima dell’allenamento, perché al risveglio le articolazioni e i muscoli sono freddi e rigidi
- Il metabolismo non è nella sua fase di maggior attività, quindi si ha l’impressione di avere meno energia per svolgere gli esercizi
- D’inverno, a cause delle temperature particolarmente rigide, potrebbe essere molto faticoso allenarsi all’esterno
Un’alternativa all’allenamento di prima mattina è quello svolto durante la pausa pranzo, un’abitudine che sta diventando sempre più popolare.
Vantaggi dell’allenamento in pausa pranzo.
- Non richiede “levatacce” al mattino
- È ideale d’inverno, quando le temperature sono troppo rigide per allenarsi all’esterno la mattina presto o la sera tardi
- Permette di frequentare le palestre in un orario in cui sono poco frequentate
- Permette di recuperare l’energia necessaria per affrontare il resto della giornata, specie se la mattinata è stata particolarmente stressante
- Permette di allenarsi in compagnia di chi ha gli stessi orari di lavoro
Svantaggi dell’allenamento in pausa pranzo:
- Spesso la pausa pranzo è troppo breve per permettere un allenamento e un opportuno recupero (pasto compreso) prima di tornare a lavoro
- Non è adatto alle giornate estive, per via delle alte temperature
ALLENARSI DI SERA: VANTAGGI E SVANTAGGI
Anche allenarsi nel tardo pomeriggio o di sera, offre vantaggi e svantaggi particolari per il corpo.
Vantaggi di un allenamento serale
- La temperatura corporea è al suo massimo picco, quindi l’organismo ha bisogno di tempi di riscaldamento e di recupero meno lunghi (e sarà più semplice evitare strappi e infortuni)
- È ideale per abbattere lo stress della giornata, prima di andare a dormire.
- È ideale nelle giornate estive, per evitare il caldo delle ore centrali della giornata
Svantaggi di un allenamento serale
- Ha bisogno di un po’ di motivazione in più, specie se la giornata è stata particolarmente faticosa
- Può causare problemi a chi soffre di insonnia: gli allenamenti serali rendono più difficile addormentarsi.
Marco Frassinelli.

Importanza del personal trainer.
Come la maggior parte dei trend del settore fitness, anche il Personal Training lo abbiamo visto nascere e svilupparsi prima di tutto oltreoceano e nello specifico associato alle star di Hollywood.
Dopo aver vissuto in Italia l’evoluzione dei primi centri fitness principalmente orientati prima al bodybuilding e poi all’aerobica, negli anni ottanta arriva anche nel nostro paese la figura professionale del Personal Trainer.
Inizialmente associata a persone famose, con un’elevata possibilità economica di investimento e basato quasi esclusivamente sul miglioramento del proprio aspetto fisico, oggi il Personal Training, in quanto servizio in ambito fitness e wellness, ha subìto un’evoluzione molto significativa, è diventato molto più diffuso e offrendo una più vasta gamma di servizi specifici è riuscito ad avvicinarsi più facilmente alle tasche della popolazione media.
Negli anni la ricerca del benessere è declinata in diversi modi, dalla necessità di sentirsi bene e quindi di mantenersi attivi come prevenzione per la propria salute, all’esigenza di raggiungere obiettivi fisici specifici che riguardano il dimagrimento o un miglioramento estetico del proprio corpo.
A differenza di un istruttore di sala, il Personal Trainer non è solo un allenatore ma è anche educatore e motivatore, sa avvicinare le persone ad una maggiore consapevolezza e sa guidarle nel giusto percorso per il raggiungimento dei propri obbiettivi.
E’ pronto a seguire chiunque! Da colui che fa sport e si allena quotidianamente, a chi non è mai entrato in una palestra, da chi non nota miglioramenti e vuole cambiare metodo, a chi è pigro e sa che senza l’aiuto di qualcuno se ne starebbe comodamente a casa davanti alla tv. Un buon P.T. racchiude in sé diverse caratteristiche e competenze.
Egli deve:
• Saper ascoltare in modo da capire gli obiettivi e le problematiche
• Parlare in modo semplice ma efficace spiegando il perché di un esercizio o di una scelta tecnica
• Saper valutare per stabilire le condizioni fisiche di partenza e testare gli sviluppi dell’allenamento
• Creare un programma personalizzato che rispetti le caratteristiche biomeccaniche e posturali del singolo. (Non fa una scheda “copia e incolla”!!!)
• Orientare verso gli esercizi migliori, cercando di assecondare le propensioni e le preferenze dell’interessato
• Saper spiegare e mostrare la giusta tecnica degli esercizi, osservare e correggere gli eventuali errori di esecuzione consigliando le variazioni adeguate perché l’interessato si muova sempre in sicurezza (non conta le ripetizioni!!!)
• Motivare e far restare motivati specie nei momenti di difficoltà (impegni familiari o lavorativi, pigrizia, stanchezza, stress) cercando di far capire quanto la costanza degli allenamenti sia importante per il perseguimento degli obbiettivi, lodandolo per quelli raggiunti • Rendere autonomo l’interessato insegnando tutto il necessario per continuare ad allenarsi successivamente anche da solo in modo efficace, in sicurezza ed ottimizzando i tempi a disposizione (Insegna ad allenarsi!!!)
• Educare ad uno stile di vita sano suggerendo buone abitudini, regole e principi che se rispettati portano anche ad un miglioramento della qualità della vita
• Creare empatia con l’interessato, comprenderne lo stato e le sensazioni così da creare un rapporto personale e fare in modo che ogni allenamento sia una vera e propria esperienza fatta su misura
Come vedete un buon Personal Trainer ha una preparazione a 360° che va oltre gli aspetti puramente tecnici, ha esperienza nel settore e tanti anni di formazione specifica alle spalle grazie agli studi fatti che gli permette di attingere da ambiti diversi: dalle modalità di allenamento alla riabilitazione, dall’alimentazione alla psicologia senza trascurare l’ambito della comunicazione.
In conclusione, affidarsi ad un Personal Trainer è il miglior modo per investire il proprio tempo e per pianificare un programma di allenamento che permetta di raggiungere i propri obiettivi nel tempo stabilito ed in maniera sicura.
Marco Frassinelli

Frattura del crociato: la giusta riabilitazione.
Questo articolo approfondisce il programma di riabilitazione corretto per l’operazione di ricostruzione del legamento crociato anteriore.
Il legamento crociato anteriore è un’importante componente del complesso articolare del ginocchio.
Deputato al mantenimento della stabilità dell’articolazione, una sua lesione o rottura può compromettere seriamente la deambulazione, per cui deve essere trattata chirurgicamente.
Il legamento crociato anteriore è, insieme al menisco, uno degli elementi più fragili dell’articolazione; le condizioni che possono portare a una sua lesione, dunque, sono diverse.
Si annoverano tra queste:
- traumi, come un colpo, una caduta o una distorsione del ginocchio;
- usura dovuta all’utilizzo eccessivo;
- uso scorretto dell’articolazione;
- iperestensione e iperflessione articolare eccessiva.
Particolarmente esposti agli infortuni traumatici sono gli sportivi che praticano discipline in cui il contatto fisico o l’estensione esplosiva delle ginocchia sono preponderanti, come:
- calcio;
- rugby;
- sci;
- salti.
Altri soggetti a rischio, inoltre, sono le persone che svolgono un lavoro fisicamente usurante.
I sintomi più comuni che possono far sospettare una lesione del legamento crociato anteriore sono:
- il dolore;
- la difficoltà nella deambulazione;
- l’instabilità del ginocchio.
Al momento della rottura, generalmente il paziente riferisce uno schiocco a livello articolare, che impedisce il prosieguo dell’attività.
Tuttavia, è bene precisare che non sempre l’intensità dei sintomi è indicativa della gravità dell’infortunio: per questo motivo, in caso di sospetta lesione, è bene fermarsi immediatamente e, non appena possibile, sottoporsi il prima possibile a valutazione medica, al fine di evitare un aggravamento ulteriore della condizione.
L’unico modo per risolvere una lesione completa del legamento crociato anteriore è l’intervento chirurgico.
La rottura dell’LCA, infatti, espone il ginocchio ad altri infortuni e a degenerazione cartilaginea: quando non trattata, infatti, può favorire l’insorgenza precoce dell’artrosi di ginocchio, meglio conosciuta come gonartrosi.
Una volta identificata la tipologia di lesione, ovvero se si tratta di:
- allungamento del legamento;
- lesione parziale;
- lesione totale,
il medico formula il piano terapeutico più idoneo, tenendo conto soprattutto delle esigenze e delle peculiarità del singolo paziente.
Per ripristinare la stabilità passiva, comunque, non è possibile la suturazione del tessuto lacerato, per cui deve essere sostituito completamente.
A questo proposito le tre tecniche chirurgiche attualmente più utilizzate sono:
- il trapianto autologo del tendine rotuleo;
- il trapianto autologo del semitendinoso e gracile;
- l’impianto di un tendine prelevato da donatore.
A prescindere dal tessuto utilizzato, l’intervento viene eseguito in artroscopia, con una durata media dell’operazione è di circa 60-90 minuti.
L’intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore deve essere assolutamente seguito da un piano di riabilitazione post-operatorio.
La ripresa funzionale, infatti, è fortemente condizionata dai comportamenti del paziente nel periodo di recupero.
1-2 settimana
- Arto libero
- Per i primi 3-4 giorni, Kinetec fino a 60°, poi aumentato a 90°;
- Esercizi di mobilizzazione attiva di piede e ginocchio, con applicazioni di ghiaccio dopo le sessioni di allenamento;
- Senza ginocchiera: esercizi di estensione attiva del ginocchio.
3-4 settimana
- Arto libero
- Obiettivo: raggiungimento della completa estensione del ginocchio;
- Esercizi: nuoto in piscina a stile libero (no stile rana), cyclette senza frizione, squat fino a 45-90° massimo, leg press 15-20 kg, ginnastica propriocettiva;
- Alla quarta settimana, è possibile iniziare gli esercizi isotonici a catena cinetica chiusa.
5-6 settimana
- Continuare con tutti gli esercizi come nel periodo precedente (3°-4° settimana).
7-12 settimana
- Mobilità completa, proseguire con gli esercizi isotonici e la ginnastica propriocettiva;
- Aumentare leggermente i carichi delle sessioni di potenziamento muscolare;
- Introduzione degli esercizi di agilità sul campo: corda, corsa laterale, carioca.
13-16 settimana
- Proseguire con esercizi di potenziamento muscolare e aumentare difficoltà ed intensità di quelli di agilità sul campo;
- Al termine della 16° settimana, il recupero funzionale dovrebbe essere a buon punto.

Differenza tra corpo libero e macchine isotoniche.
In questo articolo tratteremo le differenze sostanziali – in termini di profitto funzionale, quindi di risultati utili – tra l’uso di macchine isotoniche e pesi liberi.
Entrambi possiedono vantaggi e svantaggi che possono soggettivamente determinare la preferenza / scelta di uno o dell’altro metodo.
Comodità ed allenamento:
L’evoluzione delle tecnologie ingegneristiche nelle progettazioni ha portato sempre di più, anche nell’allenamento con i pesi, alla pratica di un lavoro muscolare molto “comodo”.
Questo non significa – o meglio, non “dovrebbe” – che il loro utilizzo è di per sé in grado di ridurre il livello di fatica. Ciò nonostante, è piuttosto frequente che si manifesti proprio un equivoco simile.
L’impressione – che qualunque trainer esperto può confermare – è che gli utenti impegnati solo nell’uso di macchine isotoniche risultino meno propensi a raggiungere le alte intensità – mentre l’obbiettivo è esattamente l’opposto.
Range di Mobilità Articolare
Movimento guidato: vantaggio o svantaggio?
Dal punto di vista tecnico, ciò che immediatamente salta all’occhio è il prefissato range di mobilità articolare imposto dall’attrezzo, nonché il percorso del gesto che stabilisce a priori la via del movimento. In realtà quindi, è la persona che si adatta alla traiettoria della macchina e non viceversa.
Questa caratteristica non è, a dire il vero, un fatto causale; limitando il movimento e scegliendo in che posizione esprimere il rom (range of movement) lavorare, si impone un movimento guidato che:
- non consente scorrettezze nella forma – anche se, come vedremo, non esiste una forma universale;
- stabilizza l’articolazione (funzione normalmente a carico della muscolatura accessoria) – utile soprattutto a chi lamenta certe problematiche funzionali.
Ciò detto, non si può negare la totalmente incuranza dell’individualità biomeccanica di questi strumenti. In certi casi, la forte limitazione del movimento porta infatti all’effetto opposto, cioè un’errata esecuzione o alla sollecitazione negativa di tendini e articolazioni.
Portiamo subito un esempio per chiarire meglio la questione; mettiamo a confronto di squat libero e leg presse per le gambe, orizzontale od obliqua, a catena, cavo o carico manuale.
La leg press viene spesso consigliata in alternativa allo squat, in particolare quando non vi è possibilità di praticare l’accosciata a causa di problemi vari, quali retrazioni muscolari, fissazioni articolari, instabilità, ecc.
Tale scelta è motivata dalla ricerca di un gesto più controllabile, ma comunque incurante dei suddetti problemi. Malgrado l’incapacità di compiere un movimento, infatti, nella leg press questo verrà comunque portato a termine a discapito della fisiologia articolare.
Per intenderci, anche se le caviglie non riuscissero a flettersi dorsalmente – cosa che ovviamente ostacola l’accosciata nello squat – nella leg press la pedana scenderebbe ugualmente forzando una flessione dorsale non fisiologica della caviglia. Stesso discorso per una rigidità del tratto lombosacrale; alla discesa della piattaforma conseguirebbe una retroversione del bacino, quindi una flessione delle anche non fisiologica e forzata.
L’eventuale sintomatologia dolorosa annessa può anche determinare un compenso articolare collaterale, portando all’insorgenza o all’aggravamento di altri disagi – passare dallo squat alla pressa per la difficoltà nell’accosciata e ritrovarsi con una lombalgia non è certo il massimo della strategia.
Si potrebbe affermare, quindi, che da un punto di vista articolare, anche le macchine isotoniche possono creare dei problemi, se non opportunamente gestite – in linea generale, se non si gode di una buona flessibilità muscolo-scheletrica.
Questo problema è quasi inesistente nell’uso dei cavi a carrucole orientabili, che assicurano comunque l’isotonicità delle macchine, ma non vincolano il movimento e lasciano l’utente libero di correggersi.
Forza e Ipertrofia
Cerchiamo ora di capire, in termini di funzionalità, forza pura e ipertrofia, quale dei due sistemi può essere più redditizio.
Raggiungere il cedimento muscolare da soli
Partiamo specificando che l’uso di pesi liberi impone un’espressione di forza variabile a causa delle leggi fisiche che governano lo spostamento degli stessi. I cavi e le macchine isotoniche, che si chiamano in questo modo proprio perché evitano questa problematica, richiedono più o meno la stessa forza in tutta l’escursione del movimento. Questo è normalmente considerato un vantaggio, perché facilita la gestione delle ripetizioni e del raggiungimento di cedimento muscolare anche senza spotter (compagno di allenamento).
Instabilità e carico allenante
D’altro canto, l’uso di pesi liberi determina instabilità. Il fatto di mantenere l’equilibrio e gestire un sovraccarico, ad esempio sulle spalle come nello squat, impone al corpo di mantenere continuamente la sua correttezza di movimento usando gli altri muscoli– detti appunto stabilizzatori – che fissano le articolazioni. Ciò determina sicuramente un maggior impegno nervoso, centrale e periferico, ma anche energetico e metabolico. Si potrebbe dire che, rispetto agli esercizi con le macchine isotoniche, quelli con i pesi liberi sono globalmente più funzionali, completi e stimolanti l’espressione complessa di forza.
I muscoli della colonna vertebrale sono sollecitati in modo isometrico per mantenere l’equilibrio sui vari piani dello spazio e questo aiuta ad incrementare le capacità della muscolatura posturale di assolvere alla sua funzione di protettori della colonna. Le caviglie non sono fisse ma libere di muoversi e le capacità propriocettive dei legamenti del piede sono sollecitate in modo importante, ancora meglio se si pratica lo squat senza scarpe. Tutto questo ovviamente non avviene nella leg press anche se, da un punto di vista muscolare, per le cosce, l’attivazione è molto simile – a seconda, ovviamente, di come si posizionano i piedi.
I bodybuilders vecchio stampo, nonché i sollevatori di pesi, i velocisti dell’atletica, i giocatori di rugby e tutti gli atleti in generale, conoscono bene l’importanza di eseguire lo squat come esercizio di costruzione muscolare e forza, assieme a stacco da terra e military press. Tutti esercizi che coinvolgono primariamente grossi gruppi muscolari, attivano in modo importante la secrezione di ormoni anabolizzanti e accrescono le capacità di stabilizzazione articolare e la propriocezione dell’intero corpo.
Per consolidare questa affermazione è sufficiente fare il paragone tra squat libero e alla Smith Machine (multypower); chi è abituato a usare quest’ultima, difficilmente saprà gestire uno squat libero. Stessa cosa dicasi per le macchine come:
- chest press in confronto alla classica bench press in panca piana, con bilanciere o manubri; l’instabilità che crea il lavoro con bilanciere o manubri, mette in condizione il soggetto di usare un carico nettamente inferiore rispetto al chest press;
- shoulders press machine paragonata alla military press (lento avanti); la destabilizzazione che crea il lavoro con pesi liberi mette a dura prova la capacità dei fissatori delle spalle che sono costretti a contenere l’articolazione al fine di permettere il movimento creando un adattamento funzionale che comporta un aumento della forza e della crescita muscolare;
Le comparazioni tra esercizi con pesi liberi e macchine potrebbero procedere per decine di esercizi e la lista potrebbe essere anche noiosa.
Tabella riassuntiva: Macchine VS Pesi liberi
Pesi liberi | Macchine isotoniche |
Costo basso e facile reperimento | Costo ed ingombro elevati |
Sono versatili perché adattabili a più esercizi | Consentono di effettuare un solo o un numero limitato di esercizi ciascuna |
Coinvolgono sia l’attività muscolare concentrica che quella eccentrica | Alcune macchine idrauliche e isocinetiche riducono notevolmente l’attività muscolare eccentrica |
Necessitano maggiore coordinazione e stabilizzazione di movimento (si controllano su tutte le dimensioni dello spazio | Necessitano minore coordinazione e stabilizzazione di movimento (generalmente si controllano su un solo piano di movimento) |
Causano un rialzo pressorio maggiore e necessitano l’apprendimento di una corretta tecnica di respirazione. | Causano un rialzo pressorio minore che va comunque controllato utilizzando una tecnica di respirazione corretta |
Difficilmente riescono ad isolare il singolo movimento o gruppo muscolare | Permettono di isolare maggiormente un movimento o un gruppo muscolare |
Allenano anche i muscoli stabilizzatori del movimento, tramite contrazione statica | Allenano un numero inferiore di muscoli stabilizzatori |
L’apprendimento della corretta tecnica di esecuzione richiede tempi maggiori | L’apprendimento della corretta tecnica di esecuzione richiede tempi minori |
Maggiore rischio di infortuni | Minore rischio di infortuni |
Non necessitano di regolazioni esterne | Necessitano di regolazione esterna, inoltre i bambini, i soggetti molto alti o molto bassi potrebbero non trovare la regolazione adatta |
Permettono traiettorie fisiologicamente più corrette | Molto spesso obbligano a traiettorie forzate non fisiologicamente corrette |
Permettono di lavorare con la percentuale di carico desiderata solo nel breve tratto del movimento articolare ove il segmento corporeo ha il massimo braccio di leva (momento). | Consentono al muscolo di sviluppare una tensione (carico) ed una velocità esecutiva costanti per tutta l’escursione articolare (macchine a camme) |
Educano la propriocezione e migliorano la coordinazione motoria | Non educano la propriocezione e la coordinazione motoria |
Inducono maggiori sollecitazioni a carico della colonna vertebrale | Inducono minori sollecitazioni a carico della colonna vertebrale (se costruite con criterio) |
“potrebbero” indurre una maggiore risposta ormonale anabolica | Inducono una minore risposta ormonale |
Alla fine del discorso ciò che conta è capire che la standardizzazione di un movimento che impone una macchina, ed il fatto di far lavorare la macchina al posto nostro sulla stabilità, è senz’altro comodo ma è poco funzionale ai fini della crescita muscolare o della forza. Per ciò che riguarda i cavi invece, si possono rivelare molto utili nell’allenamento in solitaria. In conclusione, solo impostante l’allenamento sull’utilizzo di pesi liberi si può ottenere il massimo del risultato per quanto riguarda: l’aumento del rilascio di ormoni anabolizzanti, un aumento della forza muscolare, un incremento delle capacità delle strutture stabilizzanti, l’aumento della capacità propriocettiva legamentosa, una densificazione delle strutture connettivali.
Questo non significa che usando solo macchine isotoniche e cavi non sia possibile avere dei risultati, ma saranno inferiori sotto diversi punti di vista rispetto al ferro e alla ghisa liberi.
Restando nel mondo del bodybuilding, basta osservare tutti i grandi giganti di questo sport per capire che questi dedicano gran parte dei loro allenamenti ad esercizi multiarticolari con pesi liberi. Per non parlare dei powerlifter che quasi non conoscono le macchine utilizzate nel fitness in generale.
La scelta più corretta, anche se un vero e proprio ideale non esiste, potrebbe essere di:
- strutturare l’allenamento basato anzitutto sugli esercizi multiarticolari con i pesi liberi come squat, stacco da terra, bench press, military press e pull-up;
- utilizzare i cavi nella ricerca di cedimento muscolare senza spotter, e le macchine isotoniche quando si vogliono macinare molte ripetizioni per raggiungere quel pump muscolare tale da creare quella raccolta di sangue nel muscolo importante per un buon trofismo, quindi crescita;
Non bisogna dunque ragionare in modo estremista ed asserire che le macchine sono inutili ma bisogna tenere bene a mente che la macchina isotonica, classica, convergente monolaterale simmetrica o di altro tipo, è uno strumento di allenamento nel fitness che va utilizzato con criterio per apportare i dovuti benefici.
Peraltro, esistono in commercio delle attrezzature isotoniche sulle quali sono possibili le variazioni da soggetto a soggetto nella modulazione del range di mobilità. Questo è molto interessante in particolar modo per quegli individui che hanno delle forti limitazioni di mobilità dove, quindi, è possibile lavorare in sicurezza prefissando i limiti del movimento individuali.
In questo modo anche con limitazioni funzionali è possibile allenare determinati gruppi funzionali di muscoli, i quali a poco a poco saranno pronti alla pratica dei grandi esercizi, a patto ovviamente che il programma di allenamento comprenda dei tempi specifici per l’incremento della mobilità articolare e della flessibilità muscolare, ma questa è un’altra questione.
In ogni caso si dovrebbe sempre cercare di educare il soggetto a lavorare con i grandi movimenti multi-articolari a pesi liberi, o comunque, come accennato prima, dopo un breve periodo di lavoro sulle macchine, in caso di costretto lavoro con range limitati. In particolar modo questo discorso è enfatizzato negli atleti per i quali un buon 90% del lavoro dovrebbe essere praticato con pesi liberi.

Metodi efficaci in definizione.
Cos’è la definizione muscolare?
La definizione muscolare consiste nella riduzione dello spessore dello strato che si interpone tra la pelle e i muscoli, principalmente occupato dal tessuto adiposo sottocutaneo il quale, come sappiamo, è costituito dagli adipociti che hanno la funzione di accumulare grassi sotto forma di trigliceridi.
In molti sostengono che anche il liquido interstiziale incida significativamente sull’ispessimento di questo strato. Tale malinteso ha contribuito ad alimentare una falsa credenza, ovvero che per definirsi sia anche necessario perdere liquidi. È sostanzialmente un errore. Patologie a parte, i liquidi sono presenti solo marginalmente tra il tessuto adiposo e i muscoli; per di più, nel complesso, una buona idratazione è necessaria per rimanere in salute. Per di più nei natural (chi non fa uso di doping) tale fluido, che può aumentare soprattutto in seguito a condotte alimentari inappropriate o allo stop improvviso dall’allenamento, ha tuttavia un’importanza significativa solo per chi possiede percentuali di body fat (BF) tali da poter essere competitivo in un circuito agonistico di culturismo.
La definizione muscolare è, in fin dei conti, la vera essenza del dimagrimento – che molti equivocano come una semplice perdita di peso. D’altro canto, si è soliti usare il termine “dimagrimento” quando il grasso in eccesso comporta un vero e proprio sovrappeso, mentre le parole definizione muscolare e cutting indicano un assottigliamento del tessuto adiposo al di sotto di percentuali non solo normali, ma già moderate (passando ad esempio dal 12 al 6%).
Adesso veniamo ai due metodi in genere più utilizzati nella fase di definizione muscolare.
Questi due metodi consistono nel giocare su due componenti essenziali: intensità degli allenamenti e introito calorico. Possiamo definire i due metodi come “output energetico” e “input energetico”
INPUT ENERGETICO:
Consiste nell’abbassare l’introito calorico giornaliero e settimanale e questo avviene spesso andando a tagliare i carboidrati o comunque giocare sui macronutrienti.
L’intensità degli allenamenti può rimanere più o meno uguale tra inverno e estate, quello che farà la differenza sarà l’introito calorico totale.
Il rovescio della medaglia di tale metodo consiste in una funzionalità metabolica che può risentire del taglio calorico effettuato per arrivare all’obiettivo finale.
Per questo motivo è consigliato alternare dei periodi in cui si alzano leggermente le calorie per non abbassare eccessivamente il metabolismo basale.
OUTPUT ENERGETICO:
Consiste nel mantenere un introito calorico medio-alto e puntare all’obiettivo finale giocando sull’intensità degli allenamenti che di conseguenza si dovrà alzare tramite metodi specifici come super serie, triset, quadriset o inserendo delle componenti aerobiche.
Questo aiuterà una miglior ripartizione generale di tutti i nutrienti che saranno più veicolati a favore del tessuto muscolare e non quello adiposo. Il risultato potrebbe essere più che soddisfacente in termini di perdita di grasso.
Il rovescio della medaglia è presente anche in questo metodo: un’intensità degli allenamenti molto alta e frequente può incidere sul sistema nervoso creando ulteriore stress che può compromettere alcune aree della propria vita quotidiana.
La scelta del metodo migliore è puramente soggettiva in base alla propria risposta fisiologica e alle proprie esigenze quotidiane.
Quello che è certo e che tutti e due i metodi portando in un’unica direzione ma sarà necessario comunque con il passare delle settimane e dei mesi arrivare ad un punto in cui anche il taglio calorico sarà necessario per completare il percorso di cut.
Questi sono i due metodi più efficaci e più utilizzati in definizione. Scegli quello che è più adatto a te e portalo avanti in maniera costante nel tempo.
Ricorda che non è solo il metodo ma anche la costanza con cui affronti un percorso che fa la differenza.
Marco Frassinelli.

Azotemia e bodybuilding.
Nell’articolo di oggi vorrei parlarvi dell’azotemia e del cambiamento dei suoi valori nel sangue quando ci si allena.
Prima di iniziare, però, ci tengo a sottolineare che qualsiasi variazione dei valori del sangue non devono essere sottovalutati: è sempre bene parlarne e lasciarsi consigliare dal proprio medico curante. Detto questo, iniziamo!
Azotemia
Cos’è e da cosa dipende l’azotemia?
L’azoto è un elemento chimico tipico degli amminoacidi e quindi delle proteine.
L’organismo introduce l’azoto grazie ai cibi proteici, in quanto la sua concentrazione nelle proteine alimentari si aggira intorno al 15 % (15 g per 100 g di proteine).
Nell’organismo umano l’azoto è presente sia nei tessuti, sotto forma di proteine biologicamente attive, che nel sangue. Nel torrente circolatorio poi, l’azoto viaggia in due modi:
- All’interno di proteine biologicamente attive, fondamentali, che assolvono funzioni ben precise;
- Vincolato ad altri composti che non hanno più funzione metabolica, da perchè costituiscono uno scarto metabolico.
L’azotemia può quindi essere considerata come la concentrazione di azoto non proteico nel sangue da espellere; essa deriva principalmente da: amminoacidi liberi, acido urico, creatinina ed urea (veri e propri intermedi metabolici e scarti catabolici).
A cosa serve conoscere l’azotemia?
Circa il 90 % dell’azoto viene espulso, grazie alla funzione renale, con le urine, mentre il restante 10 % attraverso le feci, il sudore, la saliva ecc.
Sono considerati normali valori fino a 50 mg/dl (milligrammi per decilitro).
Se il sistema emuntorio renale non funzionasse correttamente – condizione patologica – l’azoto non avrebbe modo di essere escreto e si accumulerebbe nel sangue – fino ad esercitare un’azione tossica.
Ma… anche l’azotemia va opportunamente contestualizzata!
L’azotemia alta potrebbe essere un valore preoccupante per un soggetto sedentario che segue un’alimentazione regolare, ma che quindi potrebbe concretamente nascondere una problematica di tipo patologico.
Lo stesso non si può dire per lo sportivo o il bodybuilder.
Bodybuilding e Sport
Nello sportivo o nel bodybuilder dediti ad allenamenti intesi invece, il quadro generale cambia parecchio. Questo sostanzialmente per due ragioni, la quale importanza muta in base al soggetto:
- Perché avviene un marcato catabolismo muscolare;
- Perché si utilizzano integratori alimentari di proteine.
Inoltre, se parliamo di agonisti natural, nella fase di pre-gara, avviene un importante utilizzo proteico a scopo energetico, che può portare i valori di azotemia fino a 70-80 mg/dl.
L’utilizzo di proteine a scopi energetici, fenomeno noto come protein burning, è dovuto ad un’alimentazione percentualmente iperproteica, oppure ad un allenamento intenso o ancora ad una inclinazione ad allenarsi in condizione di depauperamento di glicogeno – conseguenza solitamente dovuta a diete low carb.
Molti studiosi hanno confermato che nella pratica di attività ad elevato impegno muscolare, i soggetti presentano un Protein Burning davvero notevole e questo comporta un aumento della concentrazione di azotemia ed una riduzione della glicemia. In ambito sport, questa condizione potrebbe essere considerata fisiologica.
Quindi, se dovesse capitare che delle analisi del sangue rivelassero un valore di azotemia un po’ al di sopra dei valori di riferimento, non necessariamente questo è da ricondursi a una diminuzione della funzionalità renale – ma sarà il medico a stabilirlo.
Con grande probabilità invece, i duri allenamenti e la dieta iperproteica, o entrambi, saranno i veri responsabili. Non è quindi il caso di farsi prendere dal panico.
Ovviamente la superficialità non deve mai prevalere sulla ragionevolezza. Per questo è sempre auspicabile, anzi imperativo, un consulto con il medico curante che chiarirà la questione ed eventualmente darà delle direttive sul come ridurre tali valori.

Cpk e bodybuilding.
La creatina fosfochinasi (CPK), nota anche come creatina chinasi (CK), è un enzima presente nei tessuti del corpo dove la richiesta di energia è tipicamente elevata. Ciò include il muscolo scheletrico, il cuore e il cervello, sebbene questo enzima si trovi anche in un certo numero di altri tessuti. In ciascuna di queste aree si trova una diversa isoforma dell’enzima, tuttavia ai fini dell’analisi del sangue questa differenziazione non si riscontra.
All’interno di questi tessuti, la CPK si trova specificamente nei mitocondri, la centrale energetica delle cellule. CPK è responsabile della catalizzazione della conversione della creatina in fosfocreatina chinasi attraverso l’uso di ATP. La creatina si trova naturalmente in molti alimenti, ma è più comunemente associata agli integratori utilizzati negli atleti. L’ATP è la valuta energetica del nostro corpo, e questa reazione enzimatica è fondamentale per consentire la contrazione muscolare, e quindi il corretto funzionamento durante il movimento, o permettere il normale funzionamento del cuore. È importante sottolineare che questa reazione chimica è reversibile, quindi il CPK aiuta nella produzione di ATP.
Perché questa analisi è importante?
Livelli elevati di CPK osservati negli esami del sangue sono in genere dovuti a danni muscolari, ad esempio cardiaci o scheletrici. A causa della sua presenza nel muscolo scheletrico, l’analisi della CPK è importante in coloro che già si allenano regolarmente o desiderano intraprendere un’attività fisica, in particolare coloro che devono iniziare un esercizio non abituato, poiché esiste il rischio di rabdomiolisi (rottura del muscolo), che può portare a disfunzione renale. Coloro che partecipano regolarmente all’attività fisica possono avere livelli di CPK di base aumentati, che secondo gli studi sono normali. Allo stesso modo, quelli di origine afro-caraibica possono anche avere livelli di CPK più alti che si pensa siano dovuti principalmente all’aumento della massa muscolare.
L’esercizio non abituale, in particolare le contrazioni muscolari eccentriche (allungamento di un muscolo, ad esempio nella fase discendente di un curl per i bicipiti), provoca danni muscolari di vario grado. La principale preoccupazione con livelli elevati di CPK è il potenziale rischio di disfunzione renale: l’esercizio fisico intenso aumenta il rischio negli individui sensibili. L’allenamento di resistenza in genere si tradurrà nel massimo rilascio di CPK, nonostante questo sia il percorso per la massima crescita muscolare. Ci possono essere cause alla base di questo in alcuni individui. In alcuni individui i livelli di CPK possono raggiungere anche >20.000 U/L-1 dopo un esercizio ad alta intensità, senza effetti negativi, soprattutto se controllati entro 24 ore.
Sebbene la CPK possa anche rilevare danni ai muscoli cardiaci, non viene eseguita di routine per questo scopo perché ci sono altri marcatori del sangue come la troponina che sono più specifici del muscolo cardiaco e più sensibili.
CPK-Creatinfosfochinasi – Risultati
I livelli normali di CPK dipendono dai valori normativi utilizzati dal laboratorio. In fase di refertazione, il medico valuterà sempre i risultati in base a diversi fattori. Se un individuo ha eseguito il test dopo l’esercizio, o sta seguendo un allenamento intenso, i livelli di CPK possono essere significativamente più alti.
Livelli elevati di CPK nel sangue possono essere associati a:
- I valori sono tipicamente più alti nei pazienti di etnia afro-caraibica
- Individui con corporature muscolari
- Attività fisica recente: può aumentare fino a 30 volte il limite superiore della norma entro 24 ore da un’intensa attività fisica o da un lavoro manuale. Questi aumenti sono maggiori negli individui non allenati
- Rabdomiolisi: la CPK può essere normalmente elevata dopo l’esercizio, tuttavia quando si verifica una lesione muscolare significativa dopo un esercizio faticoso o in alcuni casi come l’ipotermia, ciò può portare a danni ai reni
- Farmaci (statine, fibrati, beta-bloccanti)
- Disturbi muscolari (condizioni muscolari infiammatorie, distrofie muscolari)
- Gravidanza – spesso osservata durante il travaglio e le ultime settimane di gravidanza
- Cause endocrine, come
Ipotiroidismo (bassi livelli di tiroide)
Acromegalia (disturbo dovuto all’eccessiva ormone della crescita)
Sindrome di Cushing (disturbo dovuto a cortisolo elevato)
L’elenco di cui sopra non è esaustivo, ma copre le cause più comuni di CPK elevata.
Bassi livelli di CPK nel sangue possono essere associati a:
- Malattia del fegato
- Prime fasi della gravidanza
- Età anziana (in coloro che conducono uno stile di vita sedentario o non svolgono attività fisica regolare)
- Malattia – che si traduce in un prolungato riposo a letto
Altre considerazioni
Per coloro che sono interessati a comprendere i propri livelli di CPK, può essere utile eseguire un test una tantum, tuttavia test più longitudinali, ad esempio test multipli con intervalli regolari, sarebbero più utili per vedere come reagisce il tuo corpo all’allenamento.
Marco Frassinelli.

Creatinina e bodybuilding.
La creatinina è un prodotto naturale di scarto presente nel corpo che viene creato dal movimento quotidiano dei muscoli. La creatinina si trova nel sangue e nelle urine e viene filtrata dal corpo attraverso i reni, se questi non funzionano bene, i livelli ematici di creatinina aumentano drasticamente. Il sangue deve essere il più pulito possibile affinché il corpo funzioni al meglio. Il sangue ad alto contenuto di creatinina mette a rischio la persona di disturbi renali potenzialmente letali, come l’uremia. I medici usano spesso il test della creatinina per determinare lo stato di salute e il funzionamento dei reni, poiché alti livelli di creatinina nel sangue o nelle urine possono segnalare un problema con il rene.
Il modo migliore per abbassare i livelli di creatinina è quello di trattare la causa alla radice della condizione medica. Ci sono anche molti cambiamenti nella dieta e nello stile di vita che possono aiutare a ridurre la creatinina.
Cos’è Che Alza I Livelli Di Creatinina?
I trattamenti per ridurrei i livelli alti di creatinina vanno dal mangiare meno carne rossa ed evitare l’esercizio fisico intenso all’uso di diuretici naturali.
Gli esami del sangue di routine possono misurare i livelli di creatinina. Un medico di solito ordina più di un test per diagnosticare se i livelli di creatinina sono alti, perché alcuni farmaci, integratori e alimenti possono aumentare temporaneamente i livelli di creatinina nel corpo.
Livelli elevati di creatinina possono anche verificarsi a seguito del consumo di molte proteine o di esercizi molto intensi.
Se più test mostrano che una persona ha livelli anormalmente alti di creatinina nel proprio corpo, potrebbe essere un segno che i suoi reni non funzionano correttamente.
Un’infezione grave può aver danneggiato i reni, oppure la persona può soffrire di cattiva circolazione. Anche un ridotto flusso sanguigno o la pressione bassa causata da una malattia delle arterie o da una grave disidratazione possono danneggiare i reni.
Le persone con malattia renale cronica possono mostrare anche segni di creatinina alta.
È anche possibile che il filtro nel rene, chiamato glomerulo, sia danneggiato. Se una persona ha un alto livello di creatinina nel sangue e un basso livello di creatinina nelle urine, potrebbe essere un segno che il glomerulo non stia funzionando in modo efficiente.
Alcune malattie possono interessare anche il rene e il glomerulo e possono portare a livelli elevati di creatinina. Questi includono:
- Diabete
- Disturbi autoimmuni, come il lupus
- Sindrome di Goodpasture
- Gotta
- Rabdomiolisi
- Distrofia Muscolare
- Perdita Di Sangue Causata Da Shock
È essenziale per tutti coloro con un alto livello di creatinina accordarso direttamente con il proprio medico per compiere passi verso il trattamento alla base della condizione che causa il problema. È anche una buona idea iniziare a lavorare sulla riduzione dei livelli di creatinina in modo naturale.
Consigli Dietetici Per Abbassare La Creatinina
Ci sono diversi cambiamenti nella dieta che una persona può apportare per ridurre i livelli di creatinina, tra cui:
- Ridurre l’assunzione di proteine
La scelta di fonti vegetali di proteine, come fagioli, noci e tofu, può ridurre i livelli di creatinina.
Consumare troppe proteine può causare un picco temporaneo nei livelli di creatinina, anche in una persona che è altrimenti sana. In qualcuno che ha già livelli alti di creatinina, può aumentare ulteriormente i livelli.
La carne rossa cotta sembra essere particolarmente fastidiosa. La carne rossa è il tessuto muscolare dell’animale e contiene naturalmente creatina. Cucinando questa carne, la creatina si scinde in creatinina, quindi mangiando la carne, i livelli di creatinina aumentano.
Le persone che consumano regolarmente grandi quantità di proteine possono avere livelli di creatinina più elevati nel corpo. Una persona può affrontare questo problema riducendo la quantità di carne rossa e prodotti caseari che consumano o sostituendoli con proteine vegetali.
Aumentare La Quantità Di Fibra Alimentare
La maggior parte delle persone sa che mangiare fibre aiuta a bilanciare il sistema digestivo, ma le fibre possono anche essere benefiche per le persone che voglio ridurre i propri livelli di creatinina.
Una revisione sistematica pubblicata sull’European Journal of Clinical Nutrition ha osservato che la fibra alimentare ha aiutato le persone con malattia renale cronica ad abbassare i loro livelli di creatinina.
I ricercatori hanno chiesto che vengano fatti ulteriori studi a lungo termine sull’argomento, ma questa ricerca iniziale rappresenta un valido indizio per includere le fibre nella dieta.
Molti alimenti vegetali, tra cui frutta, verdura, semi e cereali integrali contengono fibre.
Essere Consapevoli Dell’assunzione Di Liquidi
Mentre troppa assunzione di liquidi può essere un problema per le persone con malattie renali, la disidratazione e la mancanza di liquidi possono aumentare i livelli di creatinina nel corpo. È meglio che una persona concordi direttamente con il proprio medico per determinare la quantità di liquido che deve bere.
Se l’acqua per voi non è piacevole da bere, provate ad aggiungere una fetta di limone o cetriolo all’acqua per renderla più saporita. Molte persone scoprono di poter aumentare l’assunzione di liquidi bevendo tè alle erbe e tè verde.
Evitare Integratori A Base Di Creatina
Mentre alcuni integratori possono aiutare a ridurre i livelli di creatinina (sembra che il chitosano possa essere uno di questi), altri potrebbero peggiorare la situazione. Ad esempio, molti atleti e bodybuilder assumono integratori contenenti creatina per dare ai loro muscoli più forza e resistenza.
I muscoli usano la creatina per produrre energia, ma se non viene utilizzata, essa verrà convertita in creatinina.
Le persone che hanno alti livelli di creatinina dovrebbero evitare gli integratori di creatina e le fonti di creatina.
Uso Di Erbe
Ci sono molte erbe e rimedi a base di erbe sul mercato con una varietà di indicazioni sulla salute. È importante notare che la Food and Drug Administration (FDA) statunitense non ha approvato molte di queste erbe per trattare eventuali condizioni mediche.
La Salvia è una delle erbe più importanti utilizzate per il trattamento di alti livelli di creatinina. È spesso usata nella medicina tradizionale cinese per aiutare le persone con disturbi renali.
Uno studio recente ha rilevato che la salvia può proteggere le persone da alcuni tipi di insufficienza renale e che può aiutare a rafforzare il rene in modo che possa processare la creatinina.
La salvia ha proprietà psicoattive, quindi dovrebbe essere usata con cautela e sotto la guida di un medico.
Altri diuretici naturali potrebbero aiutare a favorire l’eliminazione della creatinina nel corpo, ma chiunque voglia provarli dovrebbe sempre prima parlare con un medico, soprattutto se la persona sta assumendo farmaci.
Le Erbe Naturali Comuni Che Potrebbero Essere Utili Includono:
- Dente di leone
- Cannella
- Foglia di ortica
- Astragalo
- Ginseng
- Cicoria
- Camomilla
Consigli Sullo Stile Di Vita Per Poter Ridurre La Creatinina
Oltre a guardare ciò che entra nel corpo, è importante regolare i comportamenti per aiutare a ridurre ulteriormente i livelli di creatinina.
Ridurre L’esercizio Fisico Intenso
L’esercizio fisico intenso, come l’allenamento con i pesi ad alta intensità o esercizio di resistenza, può causare alti livelli di creatinina.
L’attività muscolare produce la creatinina; più i muscoli lavorano, più creatinina viene rilasciata nel sangue. Mentre l’esercizio fisico regolare è essenziale per una buona salute, il sovraffaticamento può causare un aumento dei livelli di creatinina nel sangue.
Uno studio del 2012 ha rilevato che l’esercizio intenso aveva aumentato temporaneamente i livelli di creatinina nel sangue. Potrebbe essere meglio per le persone evitare attività faticose fino a quando non hanno completato ognuno dei trattamenti che possono causare i livelli elevati di creatinina.
Tuttavia, le persone non dovrebbero evitare completamente di allenarsi, tranne in alcune circostanze estreme.
Per mantenere il loro regime di esercizio, le persone che amano l’allenamento con i pesi o esercizi di resistenza potrebbero passare momentaneamente ad altre discipline meno intense del Fitness fino al completamento del trattamento. Le persone che preferiscono esercizi cardio come la corsa o il ciclismo potrebbero prendere in considerazione il passaggio al camminare o nuotare.
Le prospettive per coloro che soffrono di livelli elevati di creatinina sono buone in molti casi, specialmente se una persona viene seguita da un medico che delineerà un piano di trattamento gestibile.
Apportare cambiamenti nella dieta e nello stile di vita porta spesso a ridurre i livelli di creatinina, ma trattare la causa che sta dietro è l’unico modo per essere sicuri che i livelli rimangano equilibrati nel lungo periodo.
Marco Frassinelli

La migliore integrazione post allenamento.
Chi si approccia alla palestra ed all’allenamento, prima o poi arriva a porsi la domanda delle domande: cosa assumere post workout affinché la fatica dell’allenamento non sia vana?
Prima di rispondere, chiariamo una cosa fondamentale. Di cosa stiamo parlando?
Il periodo post workout è quello spazio di tempo che segue all’allenamento in palestra e dopo l’allenamento consente di accelerare il recupero, costruire nuova massa magra, ridurre il catabolismo muscolare, ripristinare i livelli di glicogeno.
Il post workout può essere fatto sia in forma solida o liquida ed in seguito vedremo perché.
Come sempre ci affidiamo alla letteratura scientifica in campo di nutrizione sportiva e, passando in rassegna gli studi più importanti, delineiamo gli ingredienti per uno shaker ottimale.
Dopo un allenamento con i pesi è lecito chiedersi che cosa assumere post workout per massimizzare il lavoro fatto in palestra. Gli aumenti di massa muscolare sono frutto del duro allenamento e di una dieta costante, non dell’utilizzo di integratori immediatamente dopo l’allenamento, tuttavia, è innegabile che aiutino.
Cosa assumere post workout
Ci sono diversi studi che hanno messo a confronto la quantità di proteine ideale da assumere dopo l’allenamento.
Chiaramente stiamo parlando di proteine in polvere, in particolare delle proteine del siero del latte, chiamate anche whey.
E’ sott’inteso che per la crescita muscolare è necessario prima di tutto raggiungere e colmare il fabbisogno proteico quotidiano che per gli sportivi è intorno ai 2 gr per chilo di peso, mentre solo dopo è possibile ottimizzare il post allenamento.
Per determinare quante proteine serve assumere dopo l’allenamento ci viene in soccorso uno studi che ha messo in confronto che cosa succedesse se a 48 uomini venivano date diverse quantità di proteine e nello specifico il gruppo è stato cosi diviso:
0 grammi di whey protein dopo l’allenamento
10 grammi di whey protein dopo l’allenamento
20 grammi di whey protein dopo l’allenamento
40 grammi di whey protein dopo l’allenamento
Quello che è emerso è che a 20 grammi si è avuta la massima stimolazione della sintesi proteica, ma non così massima come a 40 grammi. Quello che emerge però è che a 40 grammi aumenta anche enormemente l’impiego delle proteine come fonte energetica.
Teoricamente dunque la dose ottimale è di circa 20 grammi “abbondanti”, motivo per il quale è lecito dire che 25-30 grammi di whey post allenamento sono la dose ottimale per ottimizzare il post workout.
Carboidrati post workout
La quantità di carboidrati è ancora più variabile delle whey. Questa cambia in base all’obiettivo ed alla dieta intrapresa.
Nonostante a causa dell’allenamento non venga interrotta l’ossidazione degli acidi grassi è lecito pensare che introdurre carboidrati in questo frangente possa interferire con l’ossidazione lipidica, almeno in un secondo periodo successivo al post allenamento.
E’ anche vero però che la sensibilità insulinica è decisamente migliore dopo l’allenamento cosa che rende assolutamente un momento favorevole per assumere carboidrati, specialmente quando si ha una scarsa propensione verso quest’ultimi o si è in sovrappeso.
La dose ottimale è di circa 4:1 rispetto alle proteine ma i periodi di massa o definizione chiaramente spostano questi valori.
Glucosio e non fruttosio è la fonte di carboidrati ottimale, poichè ripristina il glicogeno muscolare anche grazie alla traslocazione facilitata dei GLUT4 sul miocita anche senza la presenza di insulina. Per approfondire ecco l’articolo sui carboidrati post workout.
Aminoacidi post workout
Allo shaker post workout possono essere aggiunti altri aminaocidi con lo scopo di massimizzare la sintesi proteica e ridurre il catabolismo.
Leucina, hmb e creatina sono i principali aminoacidi su cui concentrarsi, specialmente quando non vengono usate proteine di alta qualità come quelle derivate dal latte, ma proteine dal valore biologico più basso, come quelle derivanti da fonti vegetali, come canapa, pisello o grano.
Per approfondire sulle migliori proteine in polvere ecco l’articolo dedicato.
Shaker Post Workout
- 25-30 gr di Proteine isolate o altre Proteine di qualità.
- 0.8 gr/kg di carboidrati in forma semplice, come le poche costose Maltodestrine
- 1-2 gr di Hmb.
- 3-5gr di Creapure o Creatina monoidrato
Cosa aggiungere
- 3 gr di Leucina se si vuole stare certi di avere quantitativi adeguati dell’aminoacido maggiormente promotore della sintesi proteica quando la quantità di proteine è al di sotto dei 25 gr.
Aggiungere il tutto a circa 500-600 di ml d’acqua.
Lo shaker post workout è da contestualizzare all’interno della dieta, tuttavia la formula appena descritto è uno shaker ottimale che si basa sulla scienza senza nessuna invenzione.
Prima di spendere soldi in prodotti che sembrano miracolosi e che non solo non lo sono, ma addirittura costano un occhio della testa, cerca di creare da solo un post workout efficace, adesso hai tutte le informazioni che ti servono, per sapere come farlo, cosa usare, e quanto importante sia il pasto dopo l’allenamento.
Risposta definitiva sul Post Workout
Si, è la risposta definitiva. Con l’articolo che riguarda la Finestra anabolica dobbiamo aver capito come l’opportunità che si crea dopo l’allenamento, vista come finestra di opportunità, è decisamente molto più ampia rispetto ai 30 minuti di cui si sente spesso parlare.
In altre parole, il nutrient timing che caratterizza il periodo dopo l’allenamento, è molto meno importante di quello che si credeva un tempo.
Se le tempistiche sono più ampie, è chiaro che fare il post workout passa in secondo piano e non deve essere più visto come un momento fondamentale senza il quale l’allenamento sarà vanificato.
Timing
Il top è aspettare almeno 15-20 minuti, in modo da fare abbassare il cortisolo e rendere migliore l’assorbimento. Il tempo di una doccia e di vestirsi.
Inoltre alla luce di quanto appena detto dobbiamo fare delle considerazioni.
Le persone che sono abituate a fare i classici tre o quattro pasti o di più e si allenano regolarmente ma non come un atleta professionista hanno molta meno fretta di bersi lo shaker dopo l’allenamento, rispetto a chi viene da periodi di digiuno o a chi si allena più volte al giorno.
Assumere un post workout, preferibilmente liquido, in questi casi ha più importanza per due motivi.
Per chi pratica il digiuno intermittente, come ad esempio il protocollo leangains, dopo l’allenamento sono in inevitabilmente stato catabolico e di deficit energetico molto marcato, per cui i vantaggi di un post workout saranno evidenti e fondamentali.
Chi invece si allena più volte al giorno con i pesi, o fa un’altra attività cardio, ha bisogno di recuperare molto velocemente ed è il motivo per cui assumere i classici carboidrati e proteine lo aiuteranno nel ristabilire le scorte di glicogeno ed accelerare i processi di recupero e ricostruzione muscolare.
Per tutti quelli che oltre al bodybuilding fanno anche una attività aerobica, adottare strategie nutrizionali per conciliare cardio e pesi è sicuramente una buona idea per migliorare le loro prestazioni.
Tutti gli altri possono tranquillamente assumere lo shaker post workout, ma il suo valore sarà molto meno incisivo e molto più pratico.
Marco Frassinelli.