Tutti conoscono ormai a memoria gli ingredienti che compongono il triangolo magico dei risultati nell’ambito dello sport: allenamento – riposo – alimentazione.
Viene ripetuto come un mantra nelle palestre: dagli istruttori ai clienti, dai clienti muscolosi ed esperti a quelli alle prime armi e da questi ultimi alle loro mamme, che si prodigano per cucinare un pasto diverso rispetto al resto della famiglia per il figlio/a che, per sport, decide di alzare pesi a pagamento (sempre meglio che essere uno sbandato, pensa solitamente la genitrice).
Che allenarsi duramente sia importante lo capiscono tutti, anche il più negligente dei neofiti vede che esiste una correlazione tra pesi alzati e muscoli. È l’alimentazione, fattore non direttamente osservabile, ad essere spesso sottovalutata dai ragazzi che, bombardati da media e pubblicità, hanno paura di mangiare troppo e di ingrassare, specialmente quelli che in palestra si sono iscritti anche per dimagrire.
Nemmeno il riposo è una variabile presa troppo in considerazione ed è solitamente ridotta al fatto di sentire o meno i dolori post allenamento (doms).
A volte, però, succede di incontrare qualcuno che – pur dicendo di allenarsi bene, mangiare adeguatamente e riposare al 100% – esibisce un fisico che non dimostra questa dedizione (magari perché non è propriamente asciutto o perchè non è assolutamente cresciuto muscolarmente). In genere, queste persone adducono spiegazioni del tipo: “Quello strato di pancia ce l’ho sempre avuto, non andrà via mai”, oppure: “Più di così non divento grosso, purtroppo è genetica”.
Ora poniamo il caso che questi ragazzi/e siano veramente sinceri e che non facciano parte di casi particolari (per esempio che il nostro amico con la “pancetta” non sia stato obeso), come possiamo spiegare questa situazione?
La risposta potrebbe risiedere in quella variabile che accomuna tutti i 3 lati del triangolo: il TEMPO. Esso trasforma il nostro amato triangolo in una piramide con al vertice la COSTANZA.
Meno lunghi saranno i lati dedicati al tempo, meno alta sarà la piramide e minori saranno i risultati da noi ottenuti.
Torniamo all’esempio del nostro amico che non riesce a togliere la pancia e andiamo ad approfondire l’anamnesi; probabilmente scopriremo che da lunedì a venerdì riga dritto nella dieta come un Mister Olympia nelle settimane prima della gara ma: “Venerdì? Sono andato in discoteca e un 3 mojito me li sono concessi. La prossima settimana, poi, Luca fa il compleanno a casa sua e ha già comprato un paio di fusti di birra!”.
Nel secondo caso potrebbe venire a mancare la costanza nella variabile “allenamento”. Ricordate il ragazzo che si spacca in palestra senza troppi risultati? “No, d’estate in genere mollo, fa troppo caldo per allenarsi”.
Spero che con questi semplici esempi possiate aver capito che il triangolo del massimo rendimento è un concetto, a mio avviso, un po’ miope in quanto non tiene conto del fattore tempo e ciò può portare ad un’errata valutazione sull’efficacia ed efficienza dei vostri sforzi.
Se poi lasciamo l’ambito delle palestre, il mancato inserimento della costanza tra i fattori primari per il raggiungimento dei risultati porta sicuramente all’insuccesso in ambito sportivo e al fallimento del programma stilato dall’allenatore.
Nello sport praticato a livello agonistico, infatti, la costanza è una prerogativa essenziale per raggiungere determinati obiettivi e, ancora più a monte, si pone alla base del rapporto di fiducia tra l’atleta e il preparatore.
Che si faccia sport per il benessere, per la bellezza o per diventare campioni non bisogna trascendere dall’essere costanti. Così facendo nessun risultato potrà essere irraggiungibile!